Shamablanca, lettura di una schizofrenia post-moderna

Lontano dai soliti clichés esotici delle medine imperiali, souks e cammelli, Shamablanca evoca il quotidiano di una realtà misconosciuta del reame marocchino : il Marock. L’espressione Marock, presa in prestito dal film eponimo di Laïla Marrakchi, è oramai entrato nel linguaggio comune e designa lo stile di vita della jeunesse dorée casablanchese o rabatina, che vive sull’ora di Parigi, Londra o New York. Scuola al Descartes o al Lyautey (licei francesi di Rabat e Casablanca), questi giovani dell’alta società marocchina occidentalizzata vivono al margine in seno del loro proprio paese, “con il culo su diverse sedie”, ci dice Shama, eroina del romanzo di Sonia Terrab (giornalista del settimanale Telquel). In effetti, a Casablanca, è sufficiente osservare le auto che passano sul boulevard d’Anfa e le vetrine del lusso per verificare quanto segue: c’è gente poverissima in Marocco, ma anche gente ricchissima. Dopo sette anni di studi a Parigi, la 26enne Shama decide di rientrare in Marocco dove trova lavoro come marketing manager in una multinazionale a Casablanca. Ma questo ritorno tanto mitizzato non è senza sacrifici, a causa anche delle esigenze pressanti che si richiede alle donne: sistemarsi, diventare una sposa docile e una madre attenta. Indipendente, Shama è in preda alla pressione sociale e non riconosce le sue amiche di infanzia che sognano di trovare il tiket vincente: un marito che potrà loro donare un anello di fidanzamento più caro di quello delle loro vicine/amiche. Casablanca di giorno, giungla urbana grondante umanità; Casanegra la notte, città desolata e depravata. “Casa la pazza, Casa la bestia, Casa la grande” , senza dubbi l’altra protagonista del romanzo. Metropoli di 4 milioni e mezzo di persone, in costante movimento, che oscilla tra tradizione e modernità, condensando tutti i paradossi del Marocco attuale. Metropoli ostile per Shama, che pensa “essere donna qui è un dramma”, perchè si vede negata la libertà di camminare nell’anonimato della folla che gli ricorda costantemente il suo sesso, la sua condizione di oggetto del desiderio. Per dimenticare tuttto questo, Shama cammina nascosta urlando in silenzio la sua miseria dorata. Ma sotto lo stesso sole esiste un altra miseria che non vorrebbe più vedere, quella dei bambini di strada che mendicano: “Gli regalo quanto ? un dirham, della pietà o di più, uno sguardo umano, un piccolo sguardo, un millesimo di secondo di sguardo, per questa vita nella stessa città (…)”. Per salvarsi Shama si costruisce delle barricate, passa da bolla in bolla, dall’auto all’appartamento, dall’auto alla discoteca..tutto è lecito per scappare dalla realtà degli Altri, indigenti giudicati troppo indecenti. Shama è una giovane ragazza del suo tempo, con una vita sentimentale complicata. I tre personaggi maschili del romanzo sono degli archetipi: il miglior amico, il trentenne seduttore e il ragazzo di buona famiglia che vuole sposarsi per far felice la madre. Ma per Shama tutti gli uomini sono paralleli, anche se sono stati all’estero dove hanno acquisito una mentalità piuttosto aperta, ma che quando rientrano al bled (al paese) pensano che “una donna deve rinnegare il suo passato, in funzione di colui che le paga un futuro”. Ma allora, perchè Shama è tornata in Marocco? Lei che si vedeva parigina ad vitam eternam. Sessualità, droga, religione, tutte le ipocrisie e i difetti di una società nelle sue contraddizioni sono sezionate sotto la penna di Sonia Terrab. Il romanzo, decisamente visuale, inizia con il profilo su Facebook di Shama. Lo stile è nervoso, secco e a tratti crudo, si capisce e si prova la collera di Shama per quel Marock che non sente più suo. La giovane riversa sulla società, e su di lei, l’astio profondo per un lassismo che si rafforza e diventa immobilismo; trasuda tra le righe la sofferenza di persone, uomini o donne, che vivono come stranieri nel loro paese e che sopravvivono grazie alla speranza di poter ripartire, per fuggire da una identità imposta. Questo romanzo irriterà molti a causa del soggetto trattato, che non si riconosceranno. In effetti, non è l’immagine del Marocco autentica e tradizionale che certe persone vogliono difendere e promuovere a tutti i costi. La giovane e brava scrittrice tocca i tasti dell’identarietà di chi se ne è andato dal suo paese, e non si riconosce pù quando diventa adulto e maturo. La realtà dei fatti è che tanti studenti e lavoratori marocchini all’estero attendono con paura il loro ritorno a casa e, per alcuni, questa paura gli impedisce di tornare, scegliendo di essere soli in un paese lontano piuttosto che vivere la solitudine e la lontananza nel loro paese natale.

“ Tutti sono dei falsi-gettoni. Tutti degli ipocriti. Una banda di coglioni degenerati che non si rinnovano. Una banda di tarati che scorreggiano più in alto di tutti i sederi riuniti. Lei mi fa arrabbiare…Eccola, 28 anni, il Rolex di chi puo’, il matrimonio che uccide, stabilizza e quindi l’autorizza a non fermarsi: “Allora cara, quando è il tuo turno? Non resti che tu”. (…) Hamza è un marocchino medio a tutti i livelli, dalla semplicità cubica: famiglia, dio, patria. Un ragazzo con gli occhiali dissimulati dietro alle sue certezze: studi, lavoro, far piacere a sua madre, sposarsi, costruire una casa, acquistare un auto, generare, acquistare un auto più grande, assicurarsi, un credito, generare, diversi crediti, un altra assicurazione, preghiere, riscattare i suoi peccati, morire. Nel corso della vita, dimenticare di vivere”.

Shamablanca, Sonia Terrab – Éditions Atlantica Seguier, 15 euro/ 100 dirhams

Fonte: My Amazighen

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