Cinquanta sfumature di grigio, la recensione

Cinquanta sfumature di grigioAnastasia Steele è una studentessa verginella di Letteratura inglese, una ragazza acqua e sapone con la testa a posto, quando la sua coinquilina le chiede di sostituirla per un’intervista a Christian Grey, miliardario magnate delle telecomunicazioni all’apice del successo. Proprio durante quest’incontro di lavoro scatta la scintilla, e Grey cerca, sfoggiando la ricchezza come se fosse un talento, di celare la propria natura di stalker selvaggio.
Una volta superate le barriere poste dalla ragazza, Grey proporrà ad Anastasia un contratto che la vedrebbe accettare di essere la sua schiava sessuale ed eseguire gli ordini del proprio padrone: peccato che la verginella non più tale non sia così ben disposta a siglare il patto, e che l’uomo d’acciaio pronto a dominarla risulti più incline a rimangiarsi i grandi proclami, e quando la rivelazione sul punto di non ritorno delle scelte di Christian verrà fatta, Anastasia potrebbe decidere di lasciarlo definitivamente.
Almeno fino al prossimo film, purtroppo.

Basterebbe un solo passaggio della “sceneggiatura” di questa roba per sottolinearne la pochezza: una doppietta di scene che definire scult suonerebbe riduttivo, grazie alle quali vediamo il protagonista – un uomo da una parola sola, sia chiaro, che non dorme mai con nessuna donna, sia chiaro, e che è irremovibile, inflessibile, qualsiasi cosa vogliate immaginare -ibile, eppure è sempre pronto a scodinzolare per mammina e per la fidanzatina – passare da dichiarazioni come “Io non faccio l’amore. Io scopo. Forte.” a “E’ l’ora del bagnetto!”.
E già sarebbe impagabile.
Peccato che queste cinquanta sfumature di merda, spazzatura letteraria divenuta spazzatura cinematografica nata da una fan fiction di Twilight, abbiano la clamorosa e ridicola durata di centoventicinque interminabili minuti che con il sesso estremo – o anche solo vagamente spinto – e l’eccitazione non hanno nulla a che fare, e che paiono proiezioni pruriginose da Harmony senza ritegno di una qualche casalinga disperata all’interno dei quali, di fatto, si finisce per giustificare uno stalker fatto e finito – il buon Grey – soltanto perchè figo e miliardario.
Sarebbe stato divertente, in effetti, scoprire le reazioni della verginella tutta Letteratura e sguardo basso se a seguirla a scuola, al lavoro e a casa fosse stato un cassaintegrato cinquantenne senza un soldo bucato: una chiamata alla polizia, e tutti a casa.
Certo, è anche vero che il simpatico Mr. Grey è uno spasso mica da ridere, considerate le dichiarazioni di cui sopra, il fatto che possa stupire che un ventisettenne a capo di un impero economico possa aver scopato con quindici donne – ma sul serio!? E’ una presa per il culo!? La scrittrice, probabilmente, vive in un mondo popolato da nerd che immaginano una cifra del genere come fosse fantascienza senza sapere che, probabilmente, un Mr. Grey del mondo reale, a quell’età, potrebbe quantomeno essersene ripassate dieci o quindici volte tanto -, che sfoderi elicotteri e macchinoni con autista per rimorchiare e che, sempre in quei famosi centoventicinque minuti, regali l’unico momento di gloria quando dimostra di conoscere molto bene le marche perfette per il Gin Tonic – Hendricks con il cetriolo in guarnizione, Bombay con il lime, complimenti per lo stile -, ma a tutto c’è un limite.
Dunque, la signorina Anastasia, più che perdere tempo con il finto trasgressivo Christian – che la mena per due terzi della pellicola con contratti, clausole, parole salvezza e tutto un campionario da finto dominatore per poi mostrare il suo peggio con qualche frustata come se fosse la cosa più sconvolgente che si possa immaginare – dovrebbe pagarsi un biglietto aereo e buttarsi in una bella nottata con Hank Moody a Los Angeles, in barba alle sfumature e pronta a godersi davvero il lato ludico, divertente e davvero passionale del sesso, che qui pare più grigio del nome del suo main charachter e di tutte le sfumature del titolo.
Non che mi aspettassi nulla di diverso da un abominio in grado di far vomitare anche la cena di natale dell’ottantacinque, ma devo ammettere che Sam Taylor-Johnson ha superato se stesso sfruttando al meglio la pochezza che gli è stata fornita in termini di script, di attori – terrificanti, inespressivi ed imbambolati i due protagonisti -, arrivando a prenotare, consumare e forse anche digerire il primo posto dedicato alla classifica del peggio di fine anno: forse soltanto un Martinelli o qualche orrore inenarrabile potrebbero scalzarlo, ma considerata la media delle schifezze che escono in sala, ci sono già grandi probabilità che Cinquanta sfumature di grigio possa riempire anche tutte e dieci le posizioni del Ford Award in questione.
Un vero e proprio record, dunque, per una vera e propria schifezza.
Ma devo ammetterlo, sono quasi contento di aver affrontato questa visione: perchè quando assisti a questo tipo di spettacoli, riaprire gli occhi e tornare al mondo reale rende più consapevoli di quanto straordinariamente bella sia la vita che ti si schiude davanti agli occhi.
Un mondo colorato, non sempre piacevole, forse, ma senza sfumature.
Senza queste sfumature.
Che lascio volentieri alle loro illusioni di scopare forte e tanto, e ai loro bagnetti.
Ci penserà mammina a rimboccare le copertine e dare tanti bacini alle loro frontine.
La stessa che poi correrà a scrivere l’ennesimo, pruriginoso best seller spazzatura che diverrà un film anche peggiore.

MrFord

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