Intervista con Anne Goscinny, per il film “Le vacanze del piccolo Nicolas

Anne GoscinnyCosa le è piaciuto di questo progetto?

Tenuto conto della qualità del primo film e dell’accoglienza che gli era stata riservata, è stato entusiasmante ritrovare il Piccolo Nicolas sul grande schermo. Naturalmente avevo molto amato il libro Le vacanze del Piccolo Nicolas. Quindi spostare il personaggio in un altro luogo, farlo uscire dalla scuola, vedere come si comporta sulla spiaggia, con dei nuovi amichetti… bisognava essere pazzi per rifiutare un progetto che avrebbe permesso di osservare tutto questo da vicino!

È rimasta sorpresa dal successo del primo film?

Non mi ero immaginata un successo di tali dimensioni. Ho adorato il primo film perché l’ho trovato tenero, giusto e commovente. Penso che l’universo di mio padre e di Sempé sia stato tradotto in immagini con molto talento. Ma sarebbe stato pretenzioso non stupirsi di un simile successo. Il film è piaciuto sia ai bambini che ai genitori. I primi sono una cassa di risonanza e i secondi sono molto contenti quando non si annoiano al cinema!

Cosa rappresenta per lei Il Piccolo Nicolas?

Tra tutte le opere di mio padre, è quella che occupa un posto a parte. Ho a lungo immaginato che con il Piccolo Nicolas mi raccontasse la sua infanzia. Sicuramente si tratta dei suoi ricordi o, a volte, di quelli di Jean-Jacques Sempé (per quanto riguarda lo sport o le vacanze in colonia). Mentre per i personaggi di Asterix o Lucky Luke non è stato così. Non tutti siamo stati galli o cowboy, ma ognuno di noi è stato bambino.

Il Piccolo Nicolas mi tocca in modo particolare poiché si tratta di un testo che si sviluppa senza la costrizione formale e rigorosa della vignetta. Mio padre ha quindi avuto più spazio per esprimersi e dispiegare il suo talento di narratore. Contrariamente a quanto avviene con un fumetto, il rapporto con il testo è più immediato, l’accesso alle parole non passa attraverso la lettura concomitante della striscia. In un fumetto, le illustrazioni colpiscono di primo acchito. Mentre qui, i disegni di Sempé illustrano e accompagnano il testo, come in una canzone le parole sospingono la musica…

Ha seguito la stesura della sceneggiatura?

Seguo sempre molto da vicino la stesura di una sceneggiatura. A prescindere dalla mia inclinazione personale che propende in modo molto naturale verso la scrittura, sono la persona che ha i diritti dei lavori di mio padre e non voglio che si travisi la sua opera. Bisogna saper trasgredire per mettersi a servizio di un’opera e non servirsi di un’opera a costo di trasgredirla! Ma con Laurent Tirard e Grégoire Vigneron, non ero preoccupata perché di loro mi fido. Fanno un lavoro brillante, leale, giusto e molto divertente.

Alcune delle loro idee le sono parse strane?

Mi è sembrato tutto molto naturale. C’è persino una scena che avrebbe potuto scrivere mio padre e che mi fa sbellicare dalle risate: quella in cui Kad Merad chiede al proprietario del baretto «lei cosa scriverebbe al suo capo?» e quello gli risponde «non posso saperlo perché sono io il capo». Qui ritroviamo lo spirito di mio padre, il suo gusto dell’assurdo, il suo umorismo alla Pierre Dac. Fa veramente ridere. A tratti il film oscilla tra Jacques Tati e Fellini… che non sono riferimenti da poco!

Cosa le piace nel lavoro di Laurent Tirard?

Ho scoperto Laurent Tirard grazie al suo primo lungometraggio Mensonges et trahisons et plus si affinitésche mi aveva fatto molto ridere. Era al tempo stesso spiritoso, intelligente e meravigliosamente interpretato. Alcune scene, completamente surreali, corrispondevano in pieno all’idea che mi sono fatta dell’umorismo di mio padre.

Pensa che anche suo padre avrebbe amato i suoi film?

Quando ho preso coscienza della sua morte mi sono imposta una cosa precisa: di non pensare e di non parlare mai al suo posto. Di non dire mai «gli sarebbe piaciuto», «avrebbe adorato» o «avrebbe detestato» perché non ho voluto costruire la mia persona facendo pensare qualcuno che, di fatto, non pensa più. Istintivamente, mi sono resa conto molto presto che sarebbe stato un esercizio sterile. Ma in base all’idea che mi sono fatta di mio padre, penso che li avrebbe amati, sì.

Che cosa ha provato vedendo il film?

Un grande e sincera felicità perché trovo che sia un film divertente, intelligente e bello. È montato molto bene e il ritmo narrativo mi sembra eccellente. Uscendo dalla sala mi sono detta «fantastico, ho visto un bel film!». Sono un’appassionata di cinema e appena posso vado al cinema. Nel film i colori hanno un’importanza fondamentale e mi veniva quasi voglia di mettere gli occhiali da sole da quanto è bello il tempo! I disegni di Sempé erano in bianco e nero e ho avuto l’impressione che Laurent Tirard li avesse colorati.

Le piacerebbe che ci fosse un terzo film?

Quello che fa Laurent è talmente riuscito ed elegante che non vedo l’ora. Ma se mi dicesse che dopo un Asterix e due Piccolo Nicolas desidera andare a esplorare un altro universo, lo capirei perfettamente. E comunque sarà il pubblico a dirci se ha voglia o meno di vedere Nicolas al cinema una terza volta!

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