Intervista con François Damiens, per il film “La famiglia Bélier”

François DamiensCOME HA AVUTO INIZIO QUESTA AVVENTURA PER LEI?

Ho conosciuto Eric Lartigau tre o quattro anni fa, in occasione di un progetto personale e ci siamo resi conto di essere sulla stessa lunghezza d’onda. Dunque quando mi ha proposto un ruolo in questo film, conoscevo già il suo lavoro e sapevo di apprezzare la sua sensibilità. Ha un grande umorismo, ma non è mai gratuito poiché affronta tematiche sociali reali.

CHE COSA L’HA INTERESSATA NELLA SCENEGGIATURA ALL’INIZIO?

Mi piace quando un tema serio viene trattato con sensibilità e leggerezza e da un’angolazione umoristica. Quando una storia è profonda, non è necessario fare molto perché il riso affiori, solo che scaturisce in modo meno prevedibile rispetto a una commedia di impianto classico.

Era esattamente questo il caso di questa sceneggiatura che racconta la storia di una famiglia afflitta da un handicap, che impara a conviverci e che tenta di uscirne. In realtà siamo tutti in varia misura handicappati, anche se certe disabilità si notano più di altre. Quando ho letto il copione, sono rimasto affascinato dal modo di affrontare la menomazione. Mi piaceva il tono, che non è mai moralizzatore, e l’assenza di una presa di posizione. Quello di Eric è uno sguardo giusto, doloroso e commovente. E in questa famiglia di sordi c’è molta più comunicazione di quanta non ce ne sia in altre famiglie cosiddette «normali».

COME DESCRIVEREBBE IL SUO PERSONAGGIO?

Rodolphe incarna il vero «pater familias»: è più burbero di sua moglie e tuttavia ha più ritegno di lei. Ma la sua caratteristica essenziale è tutto l’amore che sprigiona, sebbene faccia fatica ed esternare i suoi sentimenti. È un uomo che prova un amore traboccante per sua moglie e per i suoi figli. E, paradossalmente, non ha alcun filtro: è pudico fino all’impudicizia. Quando l’emozione è troppo intensa, esce da se stesso: trovo sempre molto commovente questa dinamica tipica delle persone che si esprimono poco. Negli atteggiamenti e nel fisico, è riservato, malgrado sia ambizioso: nulla riesce a fermarlo, è un bulldozer! Per quanto riguarda la sua sordità, non si considera un handicappato, perché è in grado di esprimersi con la stessa efficacia di un udente. Riesce a comunicare una quantità enorme di cose attraverso i segni e i gesti.

RITIENE CHE TRA IL SUO PERSONAGGIO E IL MONDO ESTERNO CI SIA UN MURO INVALICABILE?

Assolutamente. A prima vista, si potrebbe pensare che un sordo non possa darsi alla politica in un mondo di udenti, poiché non ha né le armi né il carisma per riuscire ad imporsi in quell’universo così duro. Ma lui ha una sconfinata fiducia in se stesso e sente di avere delle cose da dare alla società. Nella sua mente pensa che sua figlia dovrà svolgere un ruolo fondamentale nella sua ricerca. Quello che lo rende commovente, è la sua determinazione a superare qualunque barriera possa ostacolare il suo percorso. È un uomo risoluto. E noi tifiamo perché ce la faccia. Si tratta di un individuo estremamente tenace, che supera se stesso e sfida le difficoltà.

HA DEI PUNTI IN COMUNE CON LUI?

Mi sento abbastanza vicino a lui. Neanch’io sono uno che si mette in mostra. Ciascuno di noi ha le sue difficoltà, le sue disabilità e di sicuro non bisogna lasciarsi sopraffare da esse. Ma nel suo percorso Rodolphe dipende in una certa misura da sua figlia, anche se possiamo immaginare che riesca a farcela senza il suo aiuto. Non ha né complessi, né disagi. Ha l’innocenza di un bambino che non sa andare in bicicletta, ma parte lo stesso per una scampagnata! A volte la prudenza porta verso l’immobilismo e lui si oppone a questo concetto. Il suo modo di comprendere le cose mi corrisponde molto.

ALLA FINE RODOLPHE ARRIVA A CAPIRE LA SCELTA DI SUA FIGLIA?

All’inizio non vuole neanche sentirne parlare. Paula rappresenta il ponte che collega lui e la moglie al resto del mondo. Ma deve arrendersi di fronte all’evidenza: quando sua figlia si mette in testa un’idea, non molla. E nel profondo di se stesso lui sa che non si fanno i figli per sé e che Paula deve scegliere la propria strada. La vita gli frappone un’ulteriore barriera lungo il suo tragitto, ma la figlia gli dà un’energia incredibile.

LEI COME LA VEDE PAULA?

Si considera un’adolescente che ha voglia di ingranare la marcia e inseguire tutti i sogni che ha nella testa. Non si immagina a diventare adulta restando nello stesso contesto dei genitori, a maggior ragione perché possiede delle qualità particolari. Quando scopre di avere un vero e proprio talento, un timbro di voce magnifico, si sente un po’ imprigionata tra i suoi genitori e il fratello e non si vede a continuare a svolgere il ruolo d’interprete tra loro e il mondo esterno per tutta la vita. È degna di suo padre: niente la può fermare! Dovrà cantare a Parigi in pubblico, il colmo dell’inverecondia! E ci va, senza mai fare un passo indietro, perché è animata da un’estrema determinazione. È sola in questa avventura e non è mai confortata dal sostegno dei genitori, che al contrario deve affrontare, senza mai prendere in considerazione le sue paure.

COSA PENSA DEL PERSONAGGIO INTERPRETATO DA KARIN VIARD?

Non ha la stessa personalità del marito. È più estroversa, più spontanea, più vicina ai suoi figli. È per certi aspetti il collante tra i vari componenti della famiglia, è colei che consente di mantenere una certa coesione famigliare. Di conseguenza è lei che fa più fatica ad accettare le scelte di Paula. Anche perché sa che se sua figlia se ne va, lei si ritroverà circondata solo da uomini.

COME SI È SVOLTO IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO DELLA LINGUA DEI SEGNI?

Ho iniziato la mia formazione in Belgio con un’insegnante, Fabienne, che era in contatto con Alexeï, il professore di LSF (la Lingua dei segni francese) che ha collaborato al film. Il processo di apprendimento è durato tre o quattro mesi. Fabienne si confrontava spesso con Alexeï in merito alle parole che variavano da un paese all’altro. Ho imparato i rudimenti della lingua dei segni e poi le mie battute dei dialoghi del film nella lingua dei segni. Dovevo anche conoscere le battute degli altri nella lingua dei segni, per poter comunicare con loro, poiché era importante per tutti noi che i segni fossero il più possibile corretti.

È STATO UN ESERCIZIO DIFFICILE?

Eccome! Perché la costruzione delle frasi è molto diversa da quella del francese parlato. I nostri personaggi non dovevano sentire nessun suono o rumore e abbiamo quindi iniziato ad esercitarci mettendo dei tappi per le orecchie che in seguito abbiamo tolto. Abbiamo dovuto apprendere diversi parametri e quindi abbiamo moltiplicato le prove per ultimare la preparazione. Non ci siamo mai sentiti distesi perché il nostro margine di improvvisazione era molto limitato e tutti questi sforzi hanno richiesto una grossa dose di concentrazione. C’è da dire che per me non è affatto naturale esprimermi attraverso dei segni: di solito, mi dimentico che sto recitando e improvviso, ma questa volta non potevo lasciarmi andare a voli pindarici sperando di cascare in piedi! Dovevo stare molto attento alle battute di Karin e conoscere alla perfezione il mio testo.

Il contatto con i sordi mi ha arricchito moltissimo: sono stato felice di trascorrere del tempo insieme a loro. Uno potrebbe pensare che siano loro a trovarsi in imbarazzo quando sono circondati da udenti, ma in realtà avviene l’esatto contrario!

MI PARLI DI COME HA DIRETTO GLI ATTORI ERIC LARTIGAU.

Ha mostrato nei nostri confronti una grande apertura, ma ovviamente noi dovevamo attenerci ai nostri «segni». Dopo ogni ripresa, si confrontava con Alexeï per essere sicuro che i nostri segni fossero giusti. E grazie allo sguardo critico di Alexeï è capitato che ci rendessimo conto di aver derapato su qualche segno. Dovevamo dare l’impressione di essere naturali e quindi Eric ha accettato che improvvisassimo un po’, ma prima si assicurava che avessimo adeguatamente «segnato» il testo almeno una volta. Aveva paura di ritrovarsi al montaggio con degli errori nei segni. Abbiamo lavorato sulla lingua dei segni a monte perché Eric teneva assolutamente al fatto che non avessimo il peso di impararla durante le riprese. Lui stesso è uno che lavora sodo: era in movimento tutto il giorno e la sera non smetteva mai di lavorare al film. Mi ha lasciato esterrefatto: i due mesi sul set sono stati di un’intensità rara. Altro che far baldoria la sera!

COME È AVVENUTO IL SUO INCONTRO CON LOUANE?

È una ragazza che trabocca di energia e che non si spaventa davanti a nulla. È una gran lavoratrice. Si è fatta carico di un compito oneroso per incarnare il suo personaggio e sostenere il peso di tutto il film sulle spalle, una scelta non così scontata per una giovane della sua età. Il suo ruolo era particolarmente complesso perché doveva trovare la sua voce e parlare e segnare contemporaneamente. È stato un esercizio molto arduo poiché i segni che doveva fare non corrispondevano al suo stato d’animo: nella lingua dei segni è tutto invertito. Quindi tanto di capello!

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