Quattro chiacchiere con William Manera

Partiamo dalle tue origini artistiche, quando hai iniziato a interessarti alla musica?
Credo di essermi interessato alla musica molto prima della mia nascita e totalmente a mia insaputa. C’erano già tanta passione e strumenti musicali in giro per casa, è stato davvero facile adattarmi e innamorarmi, senza costrizione alcuna.
Hanno provato a dissuadermi all’inizio, indirizzandomi alla carriera ecclesiastica e mirando dritto dritto al Papato, ma non c’è stato verso.

Se la tv non torna più cosa accade?
Torna La Cicogna, e guai per tutti.
Almeno fin quando non verrà poi istituito il Ministero Della Riproduzione Controllata.

Parliamo un po’ di Avete fatto in tempo, quanto tempo c’è?
C’è tutto il Tempo necessario per fare in Tempo a fare tutto, anche ad ascoltare questo disco.
L’album parla di quante più cose si possano immaginare, e per tenere il peso di questa narrazione era necessario un impiego di così tanti strumenti.
Non so se riuscirò a partorire un nuovo album così completo in futuro, questo è il mio Tempo presente, personale e condiviso con chi ha preso e prende parte all’intero lavoro. Con chi ha fatto in Tempo, insomma.

Secondo te, oggi in Italia, c’è ancora spazio per i cantautori?
Ci sono spazi, carenti o abbondanti che siano.
Ci sono su più livelli, e neanche questo mi sembra un problema.
Il problema è che ci sono diversi errori di valutazione nella gestione di questi livelli.
La mediocrità delle valutazioni aprioristiche mettono a volte sullo stesso piano diverse categorie di cantautori, e siamo arrivati a non capire più chi ci fa o chi ci è.

Progetti futuri?
Sto scrivendo il sesto brano per il mio quinto album, il terzo brano per il mio ottavo album e il singolo per Sanremo Giovani 2047.
Vado a suonare in giro per l’Italia, dormo all’occorrenza e penso a quello che voglio fare dopo aver cenato.
Nel frattempo invecchio e divento sempre più vintage.
Non mi dispiace affatto.

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