La vite del 2099, impatti del cambiamento climatico sulla viticoltura trentin

Lo studio targato FEM, C3A e FBK prevede che tra 80 anni si vendemmierà con un anticipo fino alle 4 settimane

La vite del 2099, impatti del cambiamento climatico sulla viticoltura trentina

Alla vigilia del “Climate Strike” del 15 marzo lo studio interdisciplinare condotto da Fondazione Edmund Mach, Centro C3A congiunto con l’Università di Trento e Fondazione Bruno Kessler, indaga l’impatto dei cambiamenti climatici sulle fasi fenologiche di cinque varietà di vite in due periodi futuri (2021-2050 e 2071-2099). La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Agricultural and Forest Meteorology” e basata sulle attività del progetto Envirochange finanziato dalla Provincia di Trento, indica che in futuro avremo un ciclo vegetativo più breve, inizio anticipato e una durata più corta delle singole varie fasi di sviluppo. Tra le strategie di adattamento si possono individuare lo spostamento della coltivazione della vite in altitudine, la modificazione delle tecniche di vinificazione e/o il cambio dei vitigni coltivati scegliendo quelli più adatti a climi più caldi.

La ricerca parte dalle proiezioni che ci dicono che, in termini di cambiamento climatico, la regione mediterranea è un “hot spot”, cioè il luogo dove le temperature aumenteranno più che in altre aree. “Per questo – spiega la direttrice del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente C3A Ilaria Pertot – l’industria viti-vinicola è chiamata a investire in futuro su strategie di adattamento per gestire l’impatto previsto, che comunque sarà eterogeneo tra varietà e regioni. Una verifica a livello regionale è quindi cruciale per applicare strategie e misure mirate. Il lavoro dimostra ancora una volta l’importanza della sinergia del sistema trentino che ha coinvolto FEM, Università di Trento con il C3A e Fondazione Bruno Kessler: senza le competenze multidisciplinari presenti nei nostri enti non sarebbe stato possibile giungere a questo risultato importante sia per valenza scientifica sia pratica”.

Per lo studio è stato applicato il modello climatico regionale FENOVITIS, usato per simulare le fasi di germogliamento, piena fioritura e invaiatura di cinque varietà – Chardonnay, Merlot, Pinot Nero, Pinot Grigio e Sauvignon Blanc – con altitudini di coltivazione che variano dai 67 metri ai 950 sul livello del mare. Il calcolo è stato implementato in una piattaforma open source modulare (ENVIRO) che include la mappa catastale della Provincia, coprendo un totale di 25.8654 vigneti. Le serie meteorologiche, invece, sono state ottenute dal database regionale FEM e da quello del Servizio meteo PAT basato su 33 stazioni di rilevamento. L’indagine ha utilizzato in modo intensivo risorse di calcolo e modelli numerici, sviluppati da ricercatori della Fondazione Bruno Kessler.

In generale, si legge nella premessa della pubblicazione, l’aumento della temperatura potrebbe portare un anticipo di 6-25 giorni per i diversi vitigni, con una media di 3-6 giorni di anticipo per ogni grado di riscaldamento negli ultimi 30-50 anni. Questo incremento non sarà però omogeneo in una regione montuosa come il Trentino. Localmente, infatti, il cambiamento maggiore nella fenologia della vite è atteso dove i valori delle temperature di base sono più bassi, ovvero a quote più elevate. Le prime conseguenze sono attese già nei prossimi 30 anni e saranno ancora più evidenti alla fine di questo secolo.

In concreto la raccolta avverrà prima delle attuali condizioni: da una a due settimane negli anni 2021-2050 e fino a quattro settimane nel trentennio 2071-2099. Dalle simulazioni si evince inoltre un raccorciamento della stagione tra il germogliamento e il raccolto e un anticipo fenologico. Infine, si prevede che il tempo di raccolta ridurrà il divario temporale tra i siti di montagna e di valle, a causa dello sviluppo fenologico più rapido a quote più elevate. Guardando alle varietà, il Pinot Grigio e il Merlot, coltivati in vigneti situati alle quote più basse, mostrano la più bassa attesa di anticipo di fasi ma il più alto accorciamento della stagione vegetativa. Il Pinot Nero, il Sauvignon Blanc e lo Chardonnay, che si trovano a quote più elevate, hanno un comportamento opposto. Un’altra conseguenza sarà l’accorciamento del periodo di vendemmia per le cantine, legato a un raccolto nei vigneti lungo i transetti altitudinali meno scalare. Questo richiederà adeguamenti della gestione nell’organizzazione delle aziende vinicole.

Alla luce di queste previsioni i ricercatori propongono due possibili strategie di adattamento: per mantenere le stesse tipologie di prodotto e qualità si potrà puntare sulla coltivazione delle varietà esistenti in zone più fredde, pensando cioè a uno spostamento della coltivazione in altitudine, introdurre modifiche nel processo di vinificazione e/o optare per il cambiamento dei vitigni verso quelli più adatti a climi più caldi. Un approccio proattivo dei viticoltori per trovare nuove aree idonee per le varietà tradizionali potrebbe portare benefici al mantenimento della qualità di alcuni vini e, allo stesso tempo, l’introduzione di nuove varietà potrebbe aprire un nuovo mercato. In ogni caso, concludono gli studiosi, sarà necessaria un’ulteriore valutazione degli effetti delle condizioni ambientali locali sulla qualità del vino attesa e una valutazione attenta del mercato per le nuove varietà di uve.

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