Foreste protette: ma dove sono finiti gli animali?

La rivista Biosciences, dell’American Institute of Biological Sciences, pubblica la ricerca “Emptying the Forest: Hunting and the Extirpation of Wildlife from Tropical Nature Reserves“, nella quale Rhett D. Harrison, dello  Smithsonian tropical research institute (StriI) evidenzia come “Oltre il 18 per cento delle foreste pluviali tropicali è attualmente coperto da aree protette. Se queste aree fossero state realmente protette, potremmo sentirci ragionevolmente sicuri sul successo delle strategie di conservazione nella salvaguardia di una parte sostanziale della biodiversità tropicale. Purtroppo, nella maggior parte dei tropici, i bracconieri entrano ed escono impunemente dalle riserve.

Sulla base dei rapporti e della letteratura sul bracconaggio, sembra probabile che la maggioranza delle riserve naturali tropicali possano già essere considerate “empty forests” (foreste vuote), il che significa che tutte le specie di uccelli e mammiferi più grandi  didue chili, salvo alcune specie resistenti alla caccia, sono state eradicate o sopravvivono ad una densità ben al di sotto dei livelli naturali. L’interruzione delle funzioni ecologiche causata dalla perdita di simbionti compromette ulteriormente la capacità di queste riserve di mantenere la biodiversità a lungo termine. E’ necessario un cambiamento sostanziale con un miglioramento della gestione e l’istituzione di un network delle aree tropicali protette”.
Harrison spiega: “Le aree protette nelle foreste pluviali tropicali del mondo sono assolutamente essenziali, ma non si può semplicemente istituire un nuovo rifugio e pensare che il lavoro sia fatto. La caccia non sostenibile e bracconaggio stanno decimando le specie forestali in Amazzonia, nel Bacino del Congo, nel Sud-Est asiatico e in Oceania, lasciando dietro di sè foreste vuote e silenziose, in cui mammiferi, uccelli o rettili sembrano ormai scomparsi. La perdita di queste specie ha una forte influenza su interi ecosistemi, dato che questi animali disperdono semi o sono elementi essenziali della catena alimentare. In molte aree dei tropici, la caccia ora è la più grande minaccia per la biodiversità tropicale. E’ necessario riconoscere il fatto spiacevole, ma innegabile, che gli attuali sforzi di salvaguardia tropicali stanno fallendo:. E quanto al 18 per cento di aree protette nelle foreste tropicali, un dato che viene visto come un successo dagli ambientalisti, il ricercatore avverte che “la caccia e il bracconaggio restano dilaganti. Sebbene siano più gravi nel sud-est asiatico e in Africa, crescono le preoccupazioni anche per l’Amazzonia”.
Secondo la ricerca, le piccole aree protette, o quelle che non ospitano animali iconici come il giaguaro o gli elefanti, sono particolarmente vulnerabili a causa del bracconaggio e della scarsa attenzione prestata loro da ambientalisti e politici: “Le piccole riserve (tra i 1.000 e i 10,000 ettari) tendono a essere considerate a bassa priorità di conservazione. Ma queste riserve sono una componente essenziale del network delle aree protette nelle regioni tropicali, soprattutto dove la copertura forestale originaria è ridotta. Queste aree costituiscono una parte sostanziale degli habitat e della diversità biogeografica, e spesso gli unici esempi di foresta di pianura ricca di specie”.
Se è il bracconaggio di grandi animali, come elefanti, tigri, rinoceronti, fa notizia, Harrison sottolinea il rischio per gli animali più piccoli e meno noti “Sono altrettanto vitali per il mantenimento dell’ecosistema. I cacciatori spesso prendono di mira gli alberi da frutta per il loro prelievo, uccidendo uccelli e mammiferi frugivori (mangiatori di frutta). Queste specie frugivore sono fondamentali per disperdere i semi delle grandi piante con semi, che includono molti degli alberi a cupola a crescita più lenta”.
La perdita di queste specie potrebbe portare ad un radicale cambiamento dell’intera comunità vegetale della foresta: infatti, gli alberi a crescita meno lenta potrebbero anche ridurre la capacità delle foreste di stoccare carbonio e di fornire importantissimi servizi ecosistemici.
Ma quella che ormai viene definita “empty forests syndrome” (sindrome delle foreste vuote) è stata innescata da una serie di problemi: mancanza di finanziamenti per i parchi, poche forze dell’ordine che proteggono la fauna selvatica, nuove strade, infrastrutture e progetti di “sviluppo” che penetrano in foreste pluviali prima inaccessibili. Su Biosciences si legge: “Le autorità che gestiscono le riserve sono spesso gravemente sotto-finanziate e, in più, devono fare i conti con una gamma di problemi secondari, come il limitato sostegno politico, le infrastrutture carenti, i sistemi di istruzione insufficienti, i sistemi giuridici inefficienti e la dilagante corruzione. La mancanza di dati aggrava il problema. Le autorità delle riserve sono, naturalmente, riluttanti ad ammettere di avere problemi di gestione, i saccheggi delle riserve naturali sono raramente denunciati. È quindi difficile ottenere un quadro preciso di quale sia la situazione della fauna selvatica nella maggior parte delle riserve”.
Originariamente, la causa più principale della caccia e del bracconaggio era la povertà: le comunità locali che non hanno facile accesso alle proteine degli animali da allevamento, come molti villaggi del Madagascar, catturano spesso la selvaggina per ottenerle. Ma ora la carne di selvaggina sta diventando un bene di lusso in diverse parti del mondo. Lo studio fa alcuni esempi: in Ecuador il commercio di carne selvatica ha trasformato la caccia di sussistenza sostenibile degli indigeni in un vero e proprio mestiere per rifornire i ristoranti lungo le principali autostrade; In Amazzonia la selvaggina viene venduta dalle comunità forestali nelle aree urbane; Una recente indagine a Brazzaville, la capitale della Repubblica del Congo, ha scoperto che l’88% delle famiglie urbane aveva comprato carne di animali selvatici; Nei mercati; nel sud est asiatico è la medicina tradizionale cinese a svuotare le foreste.
Harrison sottolinea  come “Le comunità locali delle foreste spesso considerano la caccia, anche di specie a rischio, come un loro diritto di nascita, come una tradizione culturale importante. Ma perché la caccia di sussistenza sia sostenibile nelle foreste pluviali la densità di esseri umani non può superare circa una persona per chilometro quadrato. Oggi ci sono già 46 persone per chilometro quadrato nel neotropicale, 99 in Africa e 522 in Asia”. Rimangono ancora zone remote e scarsamente abitate, come gran parte delle foreste vergini in Amazzonia, Nuova Guinea e Congo, ma Harrison teme che anche queste foreste “saranno presto minacciate dai cacciatori, che sfrutteranno le strade che stanno aprendo le industrie estrattive”.

Harrison su Biosciences propone diverse misure per salvare la fauna selvatica dalla caccia insostenibile:
1) La comunità scientifica deve smettere di misurare il suo successo con la quantità di territori messi sotto tutela: il successo delle strategie di salvaguardia dovrebbe essere determinato attraverso l’efficacia della gestione dei parchi, delle comunità della fauna intatte, e le variazioni dell’abbondanza di “high-target species”. “Gli ambientalisti devono anche iniziare a pensare fuori dagli schemi – dice Harrison – Per esempio, in Ghana, è stato riscontrato che una multa significativa applicata alla vendita di carne di animali selvatici nei mercati urbani è sufficiente a ridurre la caccia a livelli sostenibili. Inoltre, gli ambientalisti dovrebbero esercitare pressioni sulle compagnie del legname o energetiche per fare rispettare rigorosamente le regole della caccia nelle loro concessioni. La ricerca ha dimostrato che le concessioni industriali ben gestite, possono ancora avere una grande varietà di specie. Ma in molte aree protette la situazione è così disastrosa che è arrivato il momento di prendere in considerazione di ‘restituire’ le popolazioni di animali scomparsi, a meno che questo non venga fatto, non si può presumere che nelle cosiddette foreste ‘protette’ sopravviva  qualcosa di simile ad uno stato naturale. Per i Paesi poveri, la lotta contro il bracconaggio non deve essere vista come un peso. Al contrario, i governi devono guardare alla salvaguardia della fauna selvatica come elemento centrale per la loro economia. Molti paesi tropicali guadagnano grosse somme di denaro con il turismo basato sulla natura, ma i governi spesso non considerano il ruolo essenziale che le riserve della fauna selvatica e la natura giocano nel sostenere quell’economia e, invece, preferiscono investire in campi da golf in partnership con tour operator e agenzie turistiche”.

Fonte: http://www.salvaleforeste.it

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