Patti Cadby Birch e il Museo Dar El Bacha

Oltre cinque anni di lavori e, a breve, aprirà al pubblico, nello spettacolare Palais Dar El Bacha, la collezione della Fondazione Patti Cadby Birch, generosa magnate americana innamorata di Marrakech e della cultura islamica. Figlia di artisti, si interesso’ molto presto all’arte e debutto’ come venditrice già da giovanissima. In seguito apri’ una Galleria a New York e, dopo i valori sicuri come Bonnard, Cézanne, Degas, Manet, Van Gogh, si entusiasmo’ per degli artisti, all’epoca sconosciuti: Morandi, Marini e il cinese Zao Wou Ki, dal quale acquisto’ tutte le sue opere. Oggi ognuna di questa vale una fortuna. Fu cosi’ che creo’ la sua ricchezza: talento e fiuto per gli affari. Corteggio’ i più grandi artisti di tutti i tempi moderni, fotografi, cineasti e il suo carnet di indirizzi era illimitato. Dopo un primo matrimonio finito, convolo’ a nozze una seconda volta con Everett Birch e, sopportando sempre meno N.Y., si trasferirono a St. Thomas, nei Caraibi, in una splendida tenuta che rimase per lunghi anni la loro residenza abituale. La sua passione per l’arte la spinse ad aprire una nuova Galleria sull’isola che divenne un punto di riferimento importante per tutti i collezionisti. Tutto questo nel 1957. Acquisto’ ancora delle opere d’arte da tutto il mondo e la sua collezione si arrichi’ di oggetti provenienti dall’Africa, dall’America centrale e del sud, Cina, Asia, Oriente, Persia e… trent’anni di viaggi alla ricerca di opere preziose. Negli anni ’70 Patti divenne la più importante mecenate del Metropolitan Museum of Art di N.Y e del Museum of Modern Art, che ricevettero dalla collezionista importanti donazioni. Si interesso’ particolarmente all’arte islamica ed era in  possesso di una collezione straordinaria di gioielli iraniani dal X° al XV° secolo, che presento’ in una mirabile mostra all’Hermitage. Nel 1987, data chiave della sua vita, mori’ il marito Everett e decise a quel punto di chiudere la Galleria di St. Thomas. Caso o predestinazione scopri’ nello stesso anno il Marocco e Marrakech: un colpo di fulmine. Acquisto’ una prima casa nella medina, che restauro’ con enormi spese. La cosa folle é che si trovava a qualche centinaio di metri dal Dar El Bacha, ma a quell’epoca non poteva ancora sapere cosa l’avvenire gli aveva riservato. Nello stesso momento in cui stava restaurando la casa, non volendo vivere in Hotel, acquisto’ una sontuosa dimora presso il Golf di Amelkis, un paio di Km da Marrakech, e si installo’. Inizio’ il suo percorso culturale nella città rossa, tra inviti mondani e serate di cultura. Un giorno si imbatte’ nel Minbar (pulpito) della Moschea della Koutobia e ne rimase folgorata. Gigantesco, più di 4 metri di altezza per un metro di larghezza e tre metri di profondità, interamente costruito in legno intarsiato di ebano, sandalo, argento, con motivi floreali a profusione: un capolavoro dell’epoca almoravide. Contemporaneo della Moschea Ben Youssef, al quale era in origine destinato, venne realizzato a Cordoba nel 1137, in un centinaio di pezzi che vennero poi assemblati a Marrakech. Gli Almohadi decisero poi di spostarlo dalla moschea Ben Youssef alla Koutobia. Nei secoli l’opera si deterioro’ in modo grave e, nel marzo 1991, Patti Cadby Birch interpello’ al suo capezzale degli specialisti del Metropolitan Museum of Art di N.Y che, vedendo il Minbar, rimasero sconcertati dalla sua bellezza ma disperati dallo stato di conservazione. La collezionista persuase gli esperti a lavorare sull’opera, accollandosi tutte le spese del restauro. Grazie al talento degli esperti newyorkesi e all’abilità delle maestranze locali, con l’aiuto anche di alcuni specialisti del Ministero degli Affari Culturali, il Minbar ritrovo’, dopo alcuni mesi, il suo lustro originale. Gli anni passarono, e Patti continuo’ a pensare alle sue opere accatastate nei magazzini, con forte rischio di essere danneggiate. Decise improvvisamente di donare una grande parte delle sue opere d’arte, 3.000 pezzi, alla città di Marrakech. Oggetti importanti, arte tibetana, hindù, oceanica, africana, con delle grandi tele di artisti famosi. Grande problema: trovare un luogo eccezionale dove ospitarle, essendo la dama molto esigente! Tre anni di ricerche é un nuovo colpo di fulmine, il Palais Dar El Bacha, che visito’ e ne rimase completamente soggiogata. Secondo problema: il Palais era occupato dalla delegazione degli Affari Culturali, quindi uffici, amministrazione, sale di conferenze e quant’altro. Il Ministero fece uno sforzo e…trasloco’! Inizio’ a quel punto un lungo periodo di restauri. La costruzione era sublime ma molto rovinata, ed occupava qualcosa come 2.000 mq al suolo. Gli elementi di base erano, fortunatamente, in buono stato: zelljig fassi ( provenienti da Fez) di eccellente fattura, stucchi, soffitti in legno di cedro scolpiti, boiseries originali. Un immenso giardino piantumato ad aranci e alcune splendide fontane e colonne erano il centro dell’edificio. Le spese aumentarono ovviamente a dismisura, si parla di un milione di $ ma sicuramente questa cifra è stata ampiamente superata. Patti supervisiono’ tutti i lavori, con enormi problemi e pene. Nel frattempo arrivarono le casse imballate dall’America. Arte africana, asiatica, precolombiana, islamica. La sua scelta museografica era inabituale: mixare le provenienze e i temi per avere l’impressione di visitare una casa, un interno carico di opere d’arte, la casa di un collezionista. Tanti colpi di passione scelti per affinità personali, con il cuore. Nulla doveva ricordare un museo classico dove si ritrovano le opere ordinate con rigore, con logica e organizzazione, ma senza fantasia. Le collezioni vennero sballate e si inizio’ l’allestimento. Il Museo Dar El Bacha dovrebbe (uso il condizionale perché tanti problemi sono sorti in questi anni) aprire a settimane. Sono gli ultimi ritocchi, gli ultimi decori. Il Destino non ha voluto che Patti Cadby Birch vedesse la sua ultima opera, il suo ultimo acquisto importante. E’ morta a New York più di un anno fa all’età di 84 anni. Lascia un eredità importante che il Marocco dovrà essere in grado di onorare e di curare. Pezzi di inestimabile valore che arricchiranno Marrakech di un altro capitolo importante per la sua cultura e per i turisti che la visiteranno. Un grazie universale alla Gran Dama dell’Arte.

Fonte: My Amazighen

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