Perché bisogna pagare meno i politici

Egregio Direttore,
in questo momento di massima confusione politico-istituzionale, in balia della bufera economico-finanziaria internazionale, nel pantano in cui questa masnada di politicanti corrotti e impreparati (eccetto pochi) ci ha cacciato, tutte le rane gracidano e vogliono dire la loro.  Perciò anche a me come agli altri sia permesso di gracidare.
Mi ha colpito il titolo di una lettera a “La Prealpina” di giovedì dal titolo “Con la sinistra al Governo i risultati non cambieranno” (titolo probabilmente posto dalla Redazione) in cui il signor Vincenzo Tramuta di Varese esprime osservazioni in parte condivisibili, tranne quando sostiene che “in fondo a uno Stato per funzionare non servono idee politiche, ma fatti” e conclude “perchè invece di un migliaio di parlatori pagati profumatamente non facciamo guidare lo Stato da una decina di impiegati preparati in materia?”.
Ma si dimentica che c’è modo e modo di far quadrare i conti (o di sballarli come finora è successo): a favore di questi piuttosto che di quelli, degli “amici” piuttosto che degli avversari, dei capitalisti piuttosto che dei lavoratori (o viceversa), insomma avvantaggiando alcuni ceti sociali piuttosto che altri.  Per questo la Politica ha sempre guidato le scelte dei Governi, da che mondo e mondo: lo inviterei per questo a leggersi il volumetto “Destra e Sinistra” di Norberto Bobbio, che chiarisce bene come stanno le cose.
Piuttosto, ed in ciò condivido il suo pensiero, la Politica avrebbe bisogno di gente onesta e preparata, disposta ad impegnarsi direi “ volontariamente”, a costo zero o quasi, per il bene di tutta la società. Sarà forse un’utopia sperare che ciò si possa verificare in  un prossimo futuro, ma se nessuno pensa seriamente a trovare un sistema per far in modo che ciò accada  nulla mai cambierà.
Per prima cosa bisogna dare un segnale forte alla Nazione riducendo drasticamente (della metà almeno) il numero dei politici in ogni Istituzione pubblica elettiva: Parlamento, Regioni, Comuni, Consorzi,  Enti partecipati, ecc. (non nomino le Province perchè andrebbero subito abolite); anche se ciò influirebbe solo in piccola parte sul bilancio statale, come è stato fatto osservare, sarebbe comunque per lo Stato un risparmio notevole e da non sottovalutare (perchè sommando tante piccole cifre si ottengono numeri grandi, come la matematica insegna) e soprattutto avrebbe un  grande  impatto psicologico.  Ma non basta: per ottenere un buon risultato, nel senso di una selezione meritocratica della classe politica, si dovrebbero diminuire soprattutto le retribuzioni e tutti gli altri “privilegi” (tra cui l’odioso “vitalizio”) di cui beneficiano ora i nostri politici (ed anche altre “caste” purtroppo!), ed inoltre ridurre a soli due o tre al massimo il numero dei mandati, in modo da far sì che si candidino a cariche pubbliche solo persone veramente motivate in senso sociale e non per il miraggio di lauti guadagni, diretti e indiretti (e di sistemarsi a vita) come oggi avviene.
Per tutto ciò (oltre alla vergognosa ed antidemocratica legge elettorale, che andrebbe immediatamente cambiata) oggi siamo arrivati a questo punto di rottura tra politica e società civile, e dobbiamo affidarci ad un “deus ex machina” pescato al di fuori della politica, nel campo dei cosiddetti “tecnici”, cioè di persone esperte di economia e finanza (dato che siamo in una economia di tipo capitalista), nella speranza che con la sua competenza, esperienza, capacità e autorevolezza (in campo nazionale ed internazionale) ci possa tirar fuori da quel pantano in cui politici inetti, impreparati e corrotti ci hanno cacciato.  In altre parole bisognerebbe far sì (non solo a parole ma anche coi fatti) che la Politica non fosse un mestiere come un altro, e tantomeno a vita, ma solo una “prestazione volontaria” temporanea con la quale il Cittadino perbene mette al servizio della Nazione la sua intelligenza, la sua competenza, le sue capacità e la sua professionalità per un periodo limitato della sua vita, ritornando poi alle sue ordinarie occupazioni.
Grazie per l’ospitalità.

Giovanni Dotti

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