Blackhat, la recensione

Blackhat ( 2015 )Esplode per surriscaldamento una centrale nucleare vicino ad Hong Kong .
Gli americani e i cinesi, costretti a collaborare pur non volendolo, scoprono che dietro c’è un attacco informatico , così come ci sono i cyber terroristi dietro l’impennata del prezzo della soia al mercato di Chicago.
Il capitano Dawai, esperto informatico dell’esercito cinese arriva negli USA per cercare di convincere l’FBI a liberare l’unico che potrebbe risolvere la grana di questo attacco informatico cioè Nick Hathaway, criminale informatico che sta scontando una lunga condanna in un carcere di massima sicurezza.
I pirati informatici che ora deve combattere si sono ispirati al suo lavoro e lui è l’unico che può batterli: controllato con una cavigliera elettronica viene inserito in una piccola task force per risolvere il caso ma a un certo punto rimane solo a combattere per la propria vita e per la propria libertà….
Signore e signori, ecco Michael Mann che entra a gamba non tesa , ma tesissima nel genere del cyber thriller.
Ma forse non è neanche corretto esprimersi così perché francamente ho avuto sempre l’idea , e questo film me lo conferma, che il nostro arzillo ultrasettantenne ( ma professionalmente e stilisticamente è più giovane lui di un’intera armata di nuovi registi hollywoodiani), se ne freghi abbastanza dei generi, preferendo seguire la propria idea di cinea all’insulsa catalogazione fatta dal parruccone critico di turno.
Blackhat è un’altra incursione nella più nera delle notti come era già accaduto in Collateral e in Miami Vice , film che possono essere facilmente essere accomunati a questa sua ultima fatica in cui cambia solo il contesto ambientale.
Qui siamo in Oriente.

Il nostro, che riprende con la sua cinepresa il buio della notte come fa nessun altro, dall’altro di una capacità sopraffina nel valorizzare il nero e le luci artificiali notturne con una fotografia digitale di qualità altissima, stavolta sembra ancora meno interessato al canovaccio del film.
Non che non ci sia, perché la vicenda è chiarissima ed è raccontata in modo funzionale al ritmo sincopato impresso da un voler sempre alzare la posta in gioco , ma si intuisce che non rappresenta l’interesse primario del regista.
A lui piace il cinema che resta ben fisso negli occhi, i movimenti di macchina complessi e armoniosi, le lunghe sequenze che ti levano il fiato, l’action riletto attraverso un’esperienza direi unica nel genere.
Non gli interessa il montaggio vitaminizzato del classico regista di videoclip e neanche imprimere un ritmo così alto da frastornare lo spettatore.
Per lui il cinema è matematica, è musica, una sinfonia che corre seguendo le traiettorie delle pallottole in sparatorie lunghe e complesse che ti lasciano annichilito e svuotato nonostante ti stai godendo tutto stravaccato nella tua poltroncina.
Vedere un film di Michael Mann è come sedersi in poltrona la sera dopo cena e farsi un bicchiere di quello buono, con calma , magari anche accompagnandolo a un bel sigaro cubano di cui assaporare con voluttà gli anelli di fumo.
Blackhat è un giro turistico nelle maggiori metropoli d’Oriente con una guida d’eccezione, un cyber thriller che accomuna gli umani ai circuiti dentro un computer, semplici ingranaggi di un architettura molto più complessa di quella che potranno mai immaginare.
Molti hanno criticato anche la scelta di Chris Hemsworth nel ruolo del protagonista, un geniale criminale informatico .
Magari fa strano vedere nel ruolo dello smanettone da computer tutto questo bendiddio bello come il sole e con una carrozzeria di quelle che ti fanno cadere a terra la mandibola, anche io magari ho più la concezione dell’hacker nerd che più nerd non si può col fisico da domatore di tagliatelle, ma sinceramente dopo un po’ non importa più, ci poteva essere anche Checco Zalone al suo posto che tanto il film funzionava lo stesso.
Perché al comando di tutto, in plancia, c’è lui, uno degli ultimi grandi vecchi che il cinema hollywoodiano ci ha regalato.
E’ un po’ come entrare in una stanza buia : all’inizio non vedi nulla ma poi ti ci abitui.
E così fai con la presenza di Thor al computer, dopo un po’ sei abituato a vederlo senza il martello del tuono in mano ma con un attrezzatura che può fare ancora più male.
Blackhat è il classico film in cui non interessa quello che viene raccontato ma come viene raccontato, è cinema con tutte le lettere maiuscole non solo la C, è una summa del cinema notturno di Mann, l’unico forse capace di illuminarla riuscendo a esplorare tutta la profondità della scala cromatica.
Cinema per non dimenticare, elitario rispetto alle masse belanti che affollano i cinema.
E che sia stato un clamoroso flop commerciale ne è la testimonianza.

PERCHE’ SI : è il cinema , bellezza. Mann al suo meglio nel nero della notte, sequenze da togliere il fiato e da studiare e ristudiare.
PERCHE’ NO : alcuni hanno criticato la scelta di Hemsworth come protagonista ma pur non essendo tutto questo mostro d’attore non sfigura, Mann fa cinema d’elite , gli interessano poco i generi e la loro grammatica.

LA SEQUENZA :(SPOILER) l’uccisione di Dawei e la sparatoria che ne consegue

DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Mann ancora una volta accende le luci dell’autobus e porta a scuola tutte le nuove leve hollywoodiane
Non occorre avere un fisico da domatore di tagliatelle per essere un hacker
Sappiamo ben poco di quello che succede attorno a noi, soprattutto quanto possa essere importante la soia.
Le luci notturne di Hong Kong sono una sinfonia di colori difficile da dimenticare.

( VOTO : 8,5 / 10 )

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