Ouija: Le Origini del Male (di Mike Flanagan, 2016)

I dubbi che mi hanno reso restio alla visione di Ouija: Le Origini del Male sono stati principalmente due: il primo era che si tratta del prequel di un film dimmerda, il secondo è che alla regia c’è Mike Flanagan, uno che mi ha esaltato con i suoi due primi film ma che con il terzo e quarto mi aveva detto poco e male.
Ma, come si suol dire in certi casi, un libro non lo si può giudicare dalla copertina e un film non lo si deve necessariamente cassare prima della visione. In fondo Flanagan è bravo, e uno bravo può anche risvegliarsi dal torpore e rendere una marchetta (perché di questo si tratta) un film guardabile, riponibile sulla mensola dei “carino”, quella giusto accanto alla mensola “dimenticatoio” ma sicuramente sopra a quella “osceno”.
Perché, però, Ouija: Le Origini del Male è una marchetta? Perché si tratta di una produzione Blumhouse associata alla Hasbro, che produce appunto tavolette ouija. Che, ricordo a tutti i lettori, esistono dal diciannovesimo secolo – se non prima – e non sono giocattoli, ma sono stati trasformati in essi dall’onnipotente dio marketing.
Il primo film Ouija, un lungo spot pubblicitario per teen cerebrolesi, era stato comunque un successo commerciale. Perché, quindi, non fare un prequel (che assieme ai sequel vanno tanto di moda) e non racimolare altri quattrini dalle tasche di adolescenti e genitori grazie al solito divieto GP-13?
A differenza del suo predecessore però, Ouija: Le Origini del Male però non è (solo) un lunghissimo spot pubblicitario ma è un film in grado di andare oltre il teen horror e, in alcuni casi, di riuscire a spaventare lo spettatore. E non c’è dubbio che il merito sia del regista, ripresosi dal torpore artistico che lo aveva colto negli ultimi due anni.
Ho parlato di prequel e, in effetti, i fatti di Ouija: Le Origini del Male precedono quelli narrati nel film del 2014. Questo è assolutamente un bene, vuoi perché è facile per Flanagan immergersi in un’ambientazione retrò giustificando un budget ristretto, vuoi perché così facendo i collegamenti da rispettare con il suo predecessore diventano labili, malleabili. Insomma, basta qualche raccordo stilistico, basta rispettare una continuity abbastanza esile e il gioco è fatto.
Guadagnatosi così una certa dose di indipendenza, permessa anche dal fatto che, come al solito, Flanagan fa tutto da solo (scrive, dirige e monta), ci ritroviamo di fronte ad un film tutt’altro che superficiale che ha al centro dei propri meccanismi due elementi cari al regista: il tema della perdita – soprattutto genitoriale – e il rapporto tra fratelli.
Ambientato nel 1965, Ouija parla di tre donne, una madre e due figlie/sorelle che, in difficoltà economiche dopo la morte de marito/padre, campano fingendosi medium e facendo false sedute spiritiche. Se non che medium lo sono veramente, soprattutto la più piccola, Doris. Quando le tre inizieranno ad utilizzare una tavola ouija, i poteri sopiti di Doris attireranno l’attenzione di vere presenze che aleggiano nella casa… e non saranno pacifiche.
Prendi un rapporto madri/figlie segnato dalle difficoltà e dalla perdita. Aggiungici un rapporto tra sorelle non facile. Mixa il tutto con lo spirito più sporco e realista degli anni ’60, poi sottrai qualsiasi filosofia alla Mulino Bianco e quello che otterrai sarà un film che se ne sbatte degli stereotipi, un horror di fantasmi, possessioni e stregoneria classico che approfondisce le dinamiche interne tra i personaggi creando una connessione tra noi e loro, rendendoli vivi e non squallida carne da macello.
Se poi aggiungiamo il fatto che jump scare e trucchetti sono ridotti rispetto a prodotti della stessa fascia, certe volte persino funzionali (e quindi realmente spaventosi) e mescolati a momenti di terrore ben costruiti, basati sull’atmosfera, sugli sguardi e le parole, sui silenzi e le attese, sul non visto, eccoci di fronte ad un buon film rovinato dalla propria natura di prodotto per far soldi, giocattoloso lungometraggio da spettatori un tanto al chilo che non dimentica qual è il suo scopo principale e quindi, per sua natura, non potrà mai essere nulla più che “carino”.
Insomma, se guarderete questo Ouija non vi sentirete offesi nella vostra intelligenza e passerete una bella serata, beccandovi qualche spavento ma anche sopportando qualche momento decisamente poco riuscito. Non è un campione di originalità e, per certi versi, si scontra con film simili ma sicuramente di un altro livello (un titolo a caso? The Conjuring 2), ma ha superato sicuramente le aspettative di chi, come me, aveva dubbi enormi. Meno male, ogni tanto è bello essere smentiti.
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