Sotto le fronde dei boschi italiani, ma anche in campi agricoli fertilizzati negli ultimi dieci anni con concimi chimici, compost o digestato, apparentemente si nasconde una forte contaminazione ambientale: uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology Letters dai ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) in collaborazione con un’azienda padovana, la Società estense servizi ambientali, mostra infatti come numerosi campioni – soprattutto quelli provenienti dai boschi – presentino concentrazioni di idrocarburi fino a 4 volte quelle indicate dai limiti di legge, secondo i quali sono da bonificare i terreni con una concentrazione di idrocarburi pesanti superiori ai 50 milligrammi per chilo.
La sorpresa è che non si tratta dell’ennesima denuncia di inquinamento da parte dell’uomo, ma del monitoraggio di un fenomeno perfettamente naturale. Il responsabile di questa apparente contaminazione è infatti il fogliame, come spiegano i ricercatori. «La superficie delle foglie è ricoperta da cere che contengono idrocarburi e cadendo li portano nel suolo – argomenta Marco Vecchiato, post-doc al dipartimento di Scienze ambientali, informatica e statistica della Ca’ Foscari – ma anche se la concentrazione risulta superiore al limite di legge, non implica che ciò costituisca un pericolo per la tossicità».
Certamente si tratta però di un fenomeno capace di mandare in tilt non solo la comune percezione pubblica sul che cosa significhi la parola “inquinamento”, ma anche numerosi risvolti legali: non si contano le inchieste che riguardano presunti inquinamenti dovuti alla presenza (tra l’altro) di idrocarburi nei suoli, e che naturalmente basano le loro indagini sulle disposizioni di legge.
Eppure talvolta è necessario fare i dovuti distinguo tra inquinamento da parte dell’uomo e “inquinamento” naturale. «I valori e la tipologia di idrocarburi analizzati ne indicano un’origine tipicamente vegetale, anche nei terreni agricoli. La normativa, tuttavia – aggiunge Vecchiato – considerando solo un valore totale non distingue tra la presenza naturale di questi composti e gli effettivi casi di contaminazione».
Paesi diversi dal nostro non si pongono simili problemi avendo limiti di legge più alti per l’inquinamento di idrocarburi nel suolo, ma – sottolineano dalla Ca’ Foscari – per il contesto nostrano il vero nodo sembra essere quello della qualità del metodo analitico, che deve dare più dettagli senza però diventare troppo oneroso o complicato. La risposta sembra suggerirla ancora una volta un approccio più razionale: lo studio di Ca’ Foscari e Cnr propone infatti alternative che permetterebbero di distinguere l’impronta degli idrocarburi rilasciati naturalmente (da foglie, funghi o batteri) da quella degli idrocarburi derivati dal petrolio, contaminanti. E i test finora condotti hanno già permesso ai ricercatori di distinguere “l’inquinamento” del fogliame da quello di casi di dispersione di diesel o olio minerale, dove è invece l’uomo il (vero) responsabile.
(Greenreport del 21/12/2017)