The end? L’Inferno fuori, recensione

Guardi “The End?” e dopo nemmeno 8 minuti ti trovi a dire “cavolo, ma sono i Manetti?”.
Poi, sempre che non lo sapevi già da prima, scopri che i due fratelloni romani sono in effetti i produttori del film.
Ed è molto bello, ma al tempo stesso molto strano, che producano un film che è quasi copia diretta delle loro opere e di una in particolare – lo splendido Piano 17 – di cui è quasi una copia carbone.
Perchè, diciamocelo subito, il film del bravo Misischia è un Piano 17 in salsa zombie.
Credo che il riferimento sia assolutamente voluto perchè di film di persone “costrette” in un luogo ce ne sono tanti (gli stessi Manetti ne han fatti almeno 3, come nel caso di Misischia “budget che aguzza l’ingegno”) ma se si è scelta proprio l’ascensore impossibile non pensare ad un rimando.
Poi c’è anche la romanità, l’ironia, la tensione, insomma, tantissime cose in comune.
Anche se a me piace citare pure un’altra opera, anch’essa notevolissima, che è Dead Set, una miniserie tv inglese che è forse una delle tre meglio cose viste in tema zombie in questo decennio.
Mi piace nominarla perchè anche lì c’è un luogo chiuso (la casa del Grande Fratello inglese) e, soprattutto, “isolato” dal resto del mondo.
In entrambi i casi chi sta dentro (casa o ascensore) non si rende conto di quello che sta accadendo fuori (vedi il sottotitolo del film di Misischia) e solo piano piano inizia ad essere travolto dall’orrore.
Lo dico subito, “The End?” (mortacci sua il punto interrogativo, scomodissimo) è un film tremendamente imperfetto ma che si fa voler bene, eccome.
E’ un film che non si prende mai troppo sul serio, ironico e che sa giocare con l’orrore.
In più è ben recitato (in nessun attore si percepisce, come spesso accade nel nostro piccolo cinema, quel senso di pesce fuor d’acqua amatoriale), ben girato ma, bisogna dirlo, non benissimo scritto.
Come vedremo, infatti, tutti i problemi sono di scrittura.
Claudio Verona (un bravissimo Alessandro Roja) è un economista che, ad appena 40 anni, sembra già aver costruito un piccolo impero.
Una mattina sta andando a chiudere un importantissimo trading nel suo ufficio.
Rimane chiuso in ascensore.
Intanto a Roma è arrivata l’Apocalisse.

Il pregio maggiore del film, la costrizione in un unico -strettissimo- luogo diventa a lungo andare uno dei suoi più grandi limiti.
Perchè se è vero che assistere e combattere un’apocalisse zombesca da dentro un’ascensore è soggetto molto simpatico ed interessante è anche vero che – anche a causa di una sceneggiatura che si copia troppo spesso – ad un certo punto lo spettatore ha una tremenda voglia di uscire e di iniziare ad assistere a cose diverse da quelle viste finora.
L’errore più grande del film in fase di scrittura sta nell’incredibile ridondanza della stessa situazione.

Il film si svolge in 24 ore.
E se uno è attaccato da uno zombie è attaccato in 5,6 secondi, restano 23 ore e 54 secondi.
E allora pare incredibile che tutti gli attacchi avvengano sempre “live” rispetto a Claudio Verona.
Gli elettricisti sono attaccati mentre sono al telefono con lui, il capo elettricista è attaccato mentre è al telefono con lui, il migliore amico viene attaccato mente è in telefono con lui, la moglie viene attaccata mentre è al telefono con lui, il poliziotto viene attaccato mentre è al walkie talkie con lui, la stagista gli viene a morire proprio davanti, la segretaria gli viene a morire proprio davanti, l’ex amante gli viene a morire proprio davanti.
8 personaggi, gli unici 8 del film (di quelli visti o solo sentiti al telefono) e tutti muoiono (o vengono attaccati) solo quando sono al telefono con lui o nel piano dove si è fermato l’ascensore (piano, tra l’altro, dove non lavora nessuna delle 3 donne uccise).
Ora, un caso va bene, due, tre, ma otto sono davvero un’enormità e un errore di verosimiglianza quasi pacchiano.
24 ore, una città intera ma tutti muoiono “live” con lui.

In realtà il film di Misischia non brilla mai per caratterizzazione di personaggi o sviluppo di eventi, è “solo” un ottimo modo di affrontare il genere, umile, appassionato e leggermente originale (nell’assunto).
A me è piaciuto molto il poliziotto, credo che sia lui a dare la parte più “umana” del film, ancor più di Roja, dei suoi rapporti con la moglie o con tutti gli altri personaggi.
Un personaggio verosimile, coraggioso e simpatico (molto ben interpretato) e al quale inizi a voler bene sin da subito.
Peccato solo per la lunghissima scena della sua morte, non tanto per la scena in sè ma per l’assoluta assurdità di vedere Claudio che non vuole ucciderlo (capisco l’amicizia e la pietas ma c’è un limite…).
Ad un certo punto The End? diventa uno di quei “escape room film” per cui bisogna aguzzare l’ingegno per uscire, un pò come Saw, Buried o Il Gioco di Gerald. Anche se, rispetto ai film citati, si arriva a soluzioni non troppo complesse.
Facendo una battuta potremmo dire che il nostro protagonista aveva bisogno di “avere un piano”, inteso sia come modo di uscire che in senso condominiale.
E mi piace anche citare una curiosità.
Avviene una scena identica a Drive (lui che schiaccia la testa a pedate).
Ma la cosa incredibile è che quella che è l’unica scena in The End? fuori dall’ascensore è proprio la stessa che in Drive era, invece, l’unica dentro un ascensore.
Se fossi stato Misischia avrei sfruttato di più una delle cose più geniali del film, ovvero quella piccola “porta” sul mondo che è la fessura della porta dell’ascensore. O meglio, non l’avrei sfruttata di più (perchè in realtà quasi per tutto il film è il nostro sguardo sul mondo) ma in maniera diversa.
Mi riferisco alle ottime riprese dentro l’ascensore, con quel seguire Roja in quello spazio angusto. L’operatore si muove, noi vediamo le pareti dell’ascensore mentre Roja parla. E mi è sembrato davvero un peccato non usare mai quel pertugio per mostrarci uno zombie arrivare. Oltre alla tensione della cosa sarebbe stata una cosa tecnicamente molto buona, la macchina di presa si muove a caso e noi, “per sbaglio” , vediamo nella fessura arrivare qualcuno.
E invece no, questa possibilità di “intravedere” gli zombie (senza che Roja se e accorga), non viene mai utilizzata.

Si va avanti, si storce più volte il naso per la scrittura ma al tempo stesso si sta lì, si ha la curiosità di vedere che succede, ci si affeziona ai personaggi e si apprezza l’intera operazione.
Trucco e parrucco buoni, niente di nuovo ma si fanno valere.
Il problema, però, è che il tanto agognato finale si rivela poi un “non finale” in cui praticamente nulla accade e non c’è alcuna trovata (se non quella, simpatica, del cartone di latte).
A me dispiace che in questa recensione abbia dato molto più risalto ai difetti del film. Dispiace perchè mi è piaciuto, perchè auguro a Misischia il meglio e non vedo l’ora di vedere un suo secondo film.
C’è una scena però che ho trovato bellissima.
Claudio uccide la sua ex amante, divenuta zombie.
Il volto di lei rimane proprio davanti la fessura.
E quell’occhio è così umano da far spavento. Un occhio che ha sofferto, un occhio che lo guarda, un occhio che probabilmente non ha capito quello che è successo.
Ecco, il mio ricordo più bello di The End, il più “serio”, è quell’occhio

6.5

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