Cagliostro, parte III

Avvicinato un giorno da due spie del Governo pontificio, tali Matteo Berardi e Carlo Antonini, che gli chiesero di accoglierlo nella Massoneria, Cagliostro, senza sospettare di nulla, fece loro compiere le cerimonie iniziatiche, violando così la norma dello Stato pontificio che vietava, pena la morte, l’organizzazione di società massoniche. I due iniziati, soddisfatti di quanto avevano visto e ascoltato, sparirono prima di versare la quota di adesione. Curiosamente, Cagliostro riuscì ad affiliare alla Massoneria un frate cappuccino, Francesco Giuseppe da San Maurizio.

In settembre, la moglie Lorenza denunciò Cagliostro al parroco di Santa Caterina della Rota, e la denuncia venne trasmessa il 5 dicembre al Sant’Uffizio: all’ultimo momento, Lorenza si era rifiutata di firmarla, ma venne ugualmente acquisita; il 27 novembre il padre di Lorenza, Giuseppe Feliciani e la spia Carlo Antonini avevano già denunciato Cagliostro. La decisione dell’arresto di Cagliostro – ma furono arrestati anche la moglie e fra’ Giuseppe – fu presa ai massimi livelli, dopo una riunione del papa Pio VI con il Segretario di Stato a altri cardinali: nella notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro viene rinchiuso in Castel Sant’Angelo, Lorenza nel convento di Sant’Apollonia a Trastevere e il cappuccino nel convento dell’Ara Coeli.

Le imputazioni contro Cagliostro sono gravissime: consistono nell’esercizio dell’attività di massone, di magia, di bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i culti della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa, di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi: se provate, comporterebbero la pena di morte. Esse sono fondate in gran parte sulle dichiarazioni della moglie e su scritti e dichiarazioni rilasciate nel corso degli anni da Cagliostro; la linea difensiva dell’avvocato di Cagliostro, Carlo Costantini, consiste nel far considerare il suo assistito un semplice ciarlatano, in modo da eliminare tanto ogni credibilità che ogni serietà su quanto Cagliostro avesse mai scritto e sostenuto, relativamente almeno alle sue posizioni ideologiche, che sono quelle considerate di maggiore gravità, dal momento che esse pongono Cagliostro nella posizione di eresiarca; per il resto, occorre far passare Lorenza come una prostituta, una donna immorale e pertanto inattendibile: lei, «moglie, complice impunita e prostituta non può sicuramente somministrare non già una prova, ma nemmeno un indizio per aprire l’inquisizione», dal momento che, secondo la difesa di Cagliostro, ella intenderebbe accusare il marito per ricrearsi un’innocenza che non può appartenerle perché, se fosse vero quanto sostiene, anch’ella sarebbe colpevole quanto il marito.

Stabilito che gli ordinari rituali massonici sono di per sé suscettibili dell’accusa di eresia, quelli della Massoneria Egizia di Cagliostro sono giudicati certamente eretici e a conferma di questo assunto, negli interrogatori Cagliostro viene trascinato in discussioni teologiche: l’ignoranza di Cagliostro intorno alle nozioni più elementari di catechismo finisce per aggravare, agli occhi dei giudici del Sant’Uffizio, la sua posizione. Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14 dicembre 1790 Cagliostro scrive al papa:

«Beatissimo Padre,

Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi della S. V., reo di essere fondatore di una società massonica (senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e all’arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò non ne ha mai fatto uso.

Ora, istruito dal P. Contarini che nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno.

Indi, rivolto alla Paterna clemenza della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente per l’anima sua, supplicandola di da rimedio allo scandalo gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.

Della Santità Vostra indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito».

Il 7 aprile 1791 il Sant’Uffizio emise la sentenza:

«Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole de’ Liberi Muratori, quanto nell’Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio Pontificio.

A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui l’abjura come eretico formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.

Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl’istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le Costituzioni de’ Pontefici Predecessori, quanto anche l’accennato Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e Conventicole de’ Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione della Setta Egiziana, e dell’altra volgarmente chiamata degli Illuminati, con stabilirsi contro tutti le più gravi pene corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si ascriverà o presterà a favore di tali sette».

Il cappuccino Francesco Giuseppe di San Maurizio è condannato a dieci anni, da scontare nel suo convento dell’Ara Coeli; Lorenza, la cui testimonianza è stata determinante per la condanna di Cagliostro, è assolta: rimase tuttavia per quindici anni nello stesso convento di Sant’Apollonia. Dal 1806 fu la portinaia del Collegio Germanico di piazza Sant’Apollinare, dove morì d’infarto l’11 maggio 1810.

Dopo aver abiurato il 13 aprile 1791, Cagliostro venne trasferito a San Leo, nelle Marche, per esservi rinchiuso nella storica Rocca, progettata da Francesco di Giorgio Martini per conto di Federico da Montefeltro: vi arriva il 20 aprile. L’11 settembre viene trasferito dalla già misera cella cui era stato assegnato nella peggiore che si fosse potuta ricavare: chiamata il Pozzetto, perché priva di porta – il detenuto fu calato da una botola del soffitto – di dieci metri quadrati, munita di una finestrella appena più larga di una feritoia, con una triplice serie di sbarre da cui si poteva vedere a stento un fazzoletto di cielo.

Probabilmente per impietosire e acquisirsi la nomea di pentito, mostrò all’inizio della prigionia grande devozione, espressa da continue preghiere e frequenti digiuni: dipinge sul muro immagini religiose e ritrae se stesso, che si batte il petto in segno di contrizione e tiene nell’altra mano un crocefisso; disegna anche una Maddalena in penitenza.

Ma iniziò presto a dare segni di instabilità psichica, segnata da violente ribellioni e da crisi mistiche, nella tremenda solitudine di quel buco oscuro e umido. Il mondo è tutto nella vaga immagine del guardiano che dal soffitto gli cala il cibo due volte al giorno, nel tavolaccio dove sta sdraiato quasi tutte le ore di un giorno che poco o nulla si differenzia dalla notte, nella finestrella a cui a volte si aggrappa e urla una disperazione a cui è negata ogni pietà. Quando ha di questi sfoghi, si materializzano i guardiani dal soffitto: scendono, e sono pugni, calci, bastonate, grida, lamenti e pianti. Forse, gli stessi ricordi dei successi mondani, della ricchezza pur sordidamente acquistata e facilmente dissipata, delle celebrità frequentate, che dovevano spesso tornargli nella mente, potevano soltanto acuire la desolazione della presente miserabile condizione.

Dalla disperazione all’ebetudine, dalla rabbia all’apatia e alle illusioni: nel dicembre del 1793 ottiene il permesso di scrivere al papa. Spera di convincerlo del suo pentimento, ma vi scrive di avere visioni che lo fanno ritenere un santo, scelto da Dio perché predichi al mondo la necessità di un generale ravvedimento. Naturalmente, non viene preso sul serio e continua a dipingere, ora immagini devote, ora blasfeme, seguendo le diverse ispirazioni della speranza e della rabbia impotente.

Solo la morte può liberarlo dal carcere e quella, finalmente, giunge pietosa: il 23 agosto 1795 è trovato semiparalizzato nel suo tavolaccio. Scrive il cappellano della fortezza, fra’ Cristoforo da Cicerchia:

«Restò in quello stato apoplettico per tre giorni, ne’ quali sempre apparve ostinato negli errori suoi, non volendo sentir parlare né di penitenza né di confessione. Infine de’ quali tre giorni Dio benedetto giustamente sdegnato contro un empio, che ne aveva arrogantemente violate le sante leggi, lo abbandonò al suo peccato ed in esso miseramente lo lasciò morire; esempio terribile per tutti coloro che si abbandonano alla intemperanza de’ piaceri in questo mondo, e ai deliri della moderna filosofia. La sera del 26 fu tolto dalla sua prigione per ordine de’ suoi superiori, e fu trasportato al ponente della spianata di questa fortezza di S. Leo, ed ivi fu sepolto come un infedele, indegno dei suffragi di Santa Chiesa, a cui non aveva quell’infelice voluto mai credere».

Cagliostro morì dunque il 26 agosto 1795, verso le 22,30; fu sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza alcuna indicazione, ma del luogo si conservò memoria per qualche tempo: le truppe polacche, alleate dei francesi, che nel dicembre del 1797 conquistarono senza incontrare resistenza la Rocca, liberando i prigionieri, scoprirono anche il cadavere, dandogli forse una più decorosa sepoltura e forse anche conservando qualche reliquia da quelle povere ossa.

Poi, del luogo si è perduto il ricordo e le ricerche effettuate più di un secolo dopo non hanno avuto alcun esito.

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