Vlad l’Impalatore

Vlad III di Valacchia (Sighişoara, 2 novembre 1431 – dicembre 1476) fu un voivoda valacco. Conosciuto anche come Vlad Ţepeş  o Vlad l’Impalatore fu, a più riprese, principe di Valacchia: nel 1448, dal 1456 al 1462 ed infine nel 1476.

Grazie al suo dominio, il principato di Valacchia riuscì a mantenere la sua indipendenza dall’Impero ottomano. La sua crudeltà gli valse il soprannome di Ţepeş, che in rumeno significa l’Impalatore.

Vlad, come suo padre Vlad II, apparteneva all’Ordine del Dragone (ordo draconistarum), creato nel 1408 da Sigismondo di Lussemburgo, re d’Ungheria. Scopo dell’ordine era di proteggere la Cristianità e lottare contro i Turchi.

Il padre Vlad II fu chiamato Dracul il cui significato era “Demonio” dato che questi divenne il suo simbolo. Per questo il figlio venne chiamato in romeno Drăculea (che puo significare l’appartenenza, la discendenza dal “Dracul”). In rumeno il termine Dracul poteva essere interpretato anche come Diavolo ma può essere interpretato come storpiatura del nome dragul- cioè caro, prezioso. Vlad III divenne dunque “Figlio del Diavolo”.

Ma il nome con cui Vlad era veramente ricordato è il rumeno “Ţepeş”, che significa l’impalatore, poiché quello era il supplizio a cui usualmente condannava i propri nemici. E ne aveva tanti: soprattutto i turchi, ma anche i commercianti sassoni e i mendicanti valacchi, e le donne adultere; questo genere di punizione era tipicamente ottomana. Questi ultimi si riferivano a Vlad come Kaziglu Bey, cioè il Principe impalatore, termine attestato a partire dal 1550. Delle sue crudeltà parlano in modo particolare le Cronache dei sassoni, cronache provenienti dall’epoca.

Il principato di Valacchia si trovava sui territori meridionali della Romania.

In Transilvania esistevano centri urbani chiamate le città sassoni, fondate dalle popolazioni tedesche che ivi emigrarono nel 1300. Queste città erano molto fiorenti, commerciavano per tutto il Danubio, dalla Germania all’Impero bizantino, e chiedevano tasse per le merci provenienti dalla Valacchia. Questo fu una delle cause per la qualle Vlad decise di punire i commercianti sassoni. Vlad inoltre potenziò il suo piccolo esercito, ed inflisse numerose sconfitte agli invasori ottomani, provocando l’ira di Maometto II. Nel 1462 però, dopo una durissima campagna contro i turchi, che erano arrivati fino a Târgovişte, Mattia Corvino lo fece imprigionare per tradimento.

Dracula aveva diciotto o diciannove anni quando s’impossessò del trono dei suoi avi, la stessa età di Murad II e di Maometto II quando salirono sul trono dei sultani ottomani. A differenza di questi sovrani, però, Vlad vantava un’esperienza più ricca, frutto dei soggiorni trascorsi, a partire dalla nascita, in tre «mondi» diversi: Sighişoara e il mondo dei Sassoni della Transilvania, la Valacchia dove aveva trascorso i suoi anni più belli, quelli del passaggio dell’infanzia all’adolescenza, e infine il mondo ottomano dall’Anatolia e di Adrianopoli, dove aveva vissuto dal 1444.

Il primo provvedimento da prendere era la scelta di un precettore; in genere si trattava di un signore anziano che avesse esperienza e autorità. Si sarebbe dovuto occupare dell’educazione dell’adolescente, trovargli i professori e i maestri che gli insegnassero le varie materie previste. Non conosciamo il nome del precettore di Vlad, e nemmeno quello del governante del suo fratello Mircea.

Il precettore aveva dunque la totale responsabilità dei giovani principi, che egli affidava ai vari maestri d’arme, d’equitazione, eccetera. Non si può fare a meno di pensare che Vlad Dracul, il quale aveva subito a sua volta questo tipo di educazione presso la corte di Sigismondo di Lussemburgo, volesse insegnare ai propri figli le medesime discipline, anche se il mondo romeno aveva le sue prassi.

L’equitazione era senza dubbio l’attività prioritaria, essendo il cavallo a quel’epoca il mezzo di trasporto universale, il fedele compagno dei guerrieri, l’animale da tiro per eccellenza. Poco diffuso presso i Sassoni della Transilvania, era invece allevato e addestrato con passione dei romeni. Vlad Dracul ne aveva persino regalati due al re Ladislao prima della campagna di Varna.

Un problema che ci si pone riguardo all’educazione dei figli dei principi della Valacchia, a quell’epoca, concerne l’entità dell’insegnamento teorico. Con ogni evidenza Vlad Dracula non sapeva scrivere, al massimo sapeva leggere. Non si è conservata nessuna lettera scritta di suo pugno, nessuna firma, nessun monogramma autografo. La prima firma autografa che si conosca di un principe valacco risale al 1534, però è molto probabile che il principe Vlad il Monaco (che regnerà dal 1482 al 1495), figlio illegittimo di Vlad Dracul, essendo monaco, sapesse leggere e scrivere. All’epoca lo slavone era la lingua del culto e della cultura, l’equivalente del latino e greco. Venne impiegato per i documenti e la corrispondenza dei principi valacchi fino al XVII secolo, come fu il caso presso i serbi, i bulgari, i russi e gli ucraini. Per quanto riguarda la corrispondenza con le città sassoni della Transilvania, a volte si ricorreva al latino. Dracula parlava queste lingue? L’unica certezza che abbiamo concerne la sua padronanza del turco, appreso in occasione del soggiorno forzato nell’Impero Ottomano. Il resto sono solo supposizioni.

In quanto all’insegnamento religioso, esso si limitò probabilmente a qualche rudimento di teologia ortodossa e ad alcune grazie di Dio e virtù dell’unzione con il sacro crisma. Riguardo alla sua formazione politica, il giovane principe dovette prendere atto del cerimoniale di corte, del ruolo esorbitante svolto dai grandi del paese, della brutalità dei loro conflitti, della precarietà del trono e del peso mediocre della Valacchia nei confronti di quello dell’Ungheria e dell’Impero Ottomano.

Di questi tre universi, così diversi per aspetto e mentalità, il primo, quello della Transilvania, corrisponde alla prima giovinezza. Nato e cresciuto nella città di Sighişoara, il principe Vlad familiarizzò con un paesaggio urbano rimasto fino a oggi intatto. Costruita su un’alta collina dalla quale deriva il suo nome -Castrum Sex (la città della collina, in ungherese), da cui Segsburg, Schäsburg- Sighişoara sembra ripiegata su se stessa intorno alle mura che cingono la città alta.

Dracula visse la maggior parte dell’adolescenza in Valacchia, in condizioni molto diverse da quelle della sua infanzia. L’insediamento del paese sul trono coincise con l’uscita di Vlad dall’infanzia (puer) e con l’ingresso in una situazione diversa (adulescens), come sempre avviene quando un giovane lascia la società femminile (madre, balie, serve) ed entra in quella degli uomini. Per Vlad questo cambiamento coincise con la scomparsa della madre (o con la separazione dei genitori), e forse ciò poté essere causa di un trauma psicologico.

La rottura del contatto con la madre potrebbe spiegare alcuni tratti del suo carattere, come la durezza e l’insensibilità nei confronti della sofferenza altrui, e in particolar modo le terribili torture e sevizie che avrebbe riservati alle donne, ai bambini e ai neonati. Comunque sia, la presenza al fianco del padre di una matrigna, una principessa moldava (Marina?), che darà alla luce due figli – Radu e Alessandra – dovette affrettare l’ingresso di Dracula nel mondo degli uomini.

A partire dal 1444, quando aveva quattordici o quindici anni, l’età che segnava il passaggio allo stato di «giovane» (juvenis), quindi di maggiorenne, Vlad Dracula dovette fare i conti, suo malgrado, con un terzo universo: il mondo musulmano dell’Asia minore e poi di Adrianopoli, in Europa. La società nella quale si ritrovò immerso non assomigliava in nulla e per nulla a quella in cui era cresciuto. Le usanze, la lingua, la religione, i vestiti, tutto gli era estraneo. Rimase subito colpito dalla venerazione di cui godeva il sultano da parte dei sudditi, che si consideravano come suoi schiavi. Per forza di cose tutto ciò impressionò Vlad, che era abituato alla preminenza dei gran signori (jupan) e dei loro clan negli affari dello stato valacco, al loro spirito frondista, al loro orgoglio e alla loro brutalità.

Anche la profondità religiosa dei musulmani, le loro usanze semplici e il loro amore per la giustizia dovettero incuriosire Dracula. Alla corte del sultano, dove visse almeno un anno, poté osservare la straordinaria varietà di nazionalità che formavano la sua cerchia: nobili provenienti dalle grandi famiglie turche dell’Anatolia, greci rinnegati, serbi, albanesi, arabi, africani, italiani, persiani, eccetera. L’amore dei turchi per la guerra, per i cavalli e per il loro dio alimentava un’atmosfera strana, quasi eroica. Bisogna dire che i sultani sembravano disporre, soprattutto in Asia, di un serbatoio inesauribile di uomini. Le città, l’artigianato e il commercio prosperavano, i contadini vivevano di gran lunga meglio che nei paesi cristiani. E anche i sudditi cristiani non avrebbero rinunciato per nulla al mondo a vivere sulle terre del sultano.

Infine, e contrariamente a un’opinione ancora tenace, i turchi non inducevano i cristiani a convertirsi per forza: si poteva rimanere cristiani e godere della fiducia del sultani e degli alti dignitari. Fu il caso di molti greci e italiani, che ne hanno lasciato testimonianza nei loro scritti.

Cerchiamo di chiarire le circostanze nelle quali Vlad s’impossessò per la prima volta del trono della Valacchia, nel 1448. All’inizio del mese di settembre l’esercito di Giovanni Hunyadi aveva passato il Danubio a Cuvin (keve), di fronte a Smederev, e si era diretto a sud, allo scopo di congiungersi con le truppe albanesi di Scanderberg (Giorgio Castriota). Prima di questa data, in agosto, una truppa formata da 1500 tra cavalieri e soldati, guidata dal cognato di Hunyadi- Michele Szilagyi, aveva effettuato una diversione a attaccato la fortezza turca di Vidin. I turchi, rifiutando la battaglia, raggrupparono le forze di tre bey di confine e saccheggiarono la Valacchia. Szilagyi li accerchiò e, con l’aiuto del principe della Valacchia Vladislav II, catturò 3000 uomini, tra cui il bey di Vidin. Dopo questo scontro, che le cronache ottomane presentano come una vittoria, l’esercito crociato continuò la spedizione.

A Kosovopolje, però, la strada del ritorno venne tagliata dai turchi dalle truppe del despota servo Giorgio Brankovic, che si era opposto all’impresa cristiana. Dopo la disfatta (17- 19 ottobre) e la fuga di Hunyadi, la ritirata di Vladislav II e dei suoi 40 000 cavalieri fu lunga e difficile. Durante la sua assenza la Valacchia restava militarmente sguarnita ed esposta a un colpo di mano dei turchi. Fu il momento scelto da Dracula per varcare il Danubio, alla testa di un corpo di spedizioni fornitogli dal sultano, e impossessarsi della capitale e del trono valacco.

Il primo regno di Dracula non durò a lungo: il 17 dicembre a Costantinopoli corse voce che fosse sconfitto da Giovanni Hunyadi, il quale lo avrebbe anche condannato a morte. Questa doppia informazione è falsa perché Hunyadi ritrovò la libertà solo a Natale. Fu dunque Vladislav II, infine rientrato da Kosovopolje, a scacciare Dracula dalla Valacchia verso la fine di novembre. Ed egli, costretto nuovamente all’esilio, trovò rifugio in Moldavia.

Non aveva regnato che due mesi, forse tre, senza infierire nei confronti di quanti si erano schierati contro di lui con i Dăneşti. Non si ha notizia di stragi o altre forme di rappresaglia, in quel breve periodo, verso le popolazioni che avevano in qualche modo accettato l’usurpatore. Nulla che anticipasse la ferocia delle sue gesta successive.

Grande deve essere stata l’amarezza del giovane principe detronizzato nel constatare che, nonostante la buona disposizione verso i propri feudatari, non ci fosse tra questi nessuno disposto ad aiutarlo. Chi, d’altronde avrebbe avuto l’ardire di opporsi allo strapotere degli Hunyadi? Dracula avrebbe fatto tesoro a proprio modo di questa lezione, convincendosi per il futuro dell’inutilità della clemenza. Ne sarebbero scaturiti orrori a non finire, alimentati di vendetta e anche dalla certezza che solo attraverso il terrore potesse esprimersi la regalità, ma non era quello il momento più adatto per elaborare una filosofia del potere. Solo e senza terra, Dracula doveva decidere dove rifugiarsi. Di una cosa era certo: non poteva tornare indietro, nel grembo caldo della corte ottomana. Aveva chiara percezione del disappunto con cui sarebbe stato accolto dal sultano dopo questo insuccesso. Evitò dunque di ricorrere la via del sud, donde era venuto, e proseguì verso nord, chiedendo asilo in Moldavia dove regnava suo zio Bogdan.

Fu accolto con ogni riguardo, e nuovamente istruito alla religione cristiana insieme al cugino Stefano, coetaneo generoso e di vivace intelligenza, col quale immediatamente si intese. Nacque tra i due giovani, mentre studiavano sotto la guida di monaci greci, un’amicizia così fraterna che si scambiarono un giuramento di mutuo soccorso per la vita. Entrambi ambivano a un trono. Quello che vi fosse giunto per primo avrebbe aiutato l’altro ad ascendere al proprio. Era un giuramento più impegnativo per Stefano che per Dracula, poiché Stefano una corona già l’aveva, saldamente tenuta dal padre, mentre quella di Dracula era usurpata dai Dăneşti. Ma era talmente incerta la stabilità di certe signorie che i cambiamenti di scena più inattesi erano all’ordine del giorno.

Infatti, tre anni dopo, una congiura di palazzo spazzava via Bogdan dal suo trono, del quale si impossessava un avventuriero di nome Petru Aron, Bogdan cadeva sotto i pugnali dei congiurati, suo figlio Stefano e il nipote Dracula riuscivano a fuggire. Rinnovarono, nel separarsi, il loro giuramento di amicizia, obbligando quello dei due che avrebbe avuto maggiore fortuna a soccorrere l’altro.

Delle tre province rumene nelle quali si riconosceva per tradizione la famiglia bessarabica, cui Dracula Vlad apparteneva, la Valacchia era in mano ai Dăneşti, la Transilvania agli Hunyadi, la Moldavia all’usurpatore Aron. Non c’era molta scelta, ma VIad seppe scegliere ugualmente nel modo per lui più conveniente, prendendo una decisione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, consentendogli di riconquistare il trono paterno. Lo aiutarono in questo l’audacia, il calcolo politico e, certamente la disperazione: scelse Giovanni Hunyadi, l’assassino di suo padre e suo fratello, che con quel doppio delitto aveva estinto verosimilmente la propria sete di vendetta. Vlad aveva percepito la predisposizione del “Cavaliere Bianco” a farsi tutore di ogni principe in difficoltà per potersene poi servire ai propri fini. Aveva intuito soprattutto che difficilmente i Dăneşti avrebbero potuto tenere il principato di Valacchia, il più esposto a meridione, senza giungere a compromessi con i turchi.

Così era stato per suo padre, così sarebbe stato per Vladislao II; e allora Giovanni gli si sarebbe messo contro. Fu in vista di quel momento che Dracula scelse gli Hunyadi e che questi scelsero lui prendendolo sotto la loro ala protettrice, con quella lungimiranza che faceva vedere loro la necessità, prima o poi, di liquidare i Dăneşti. Come sostituto di questi ultimi sul trono di Valacchia, se un’operazione del genere si fosse resa necessaria, il figlio di Dracul era perfetto, perché legittimato oltre tutto da risapute ragioni dinastiche.

Era il 1451, Dracula aveva vent’anni, Giovanni una sessantina. C’era tra loro la giusta differenza d’età che di solito intercorre tra un maestro e un apprendista. Giovanni decise di farne il proprio allievo, e trasformarlo in un perfetto guerriero cristiano. Iniziò così per Dracula un tirocinio di guerra, che si protrasse per cinque anni. Partecipò a incursioni contro i Turchi, crociate nei Balcani e rappresaglie anche tra principi cristiani, quando si trattò di punire magnati e feudatari allineati con l’indolente imperatore Federico III d’Asburgo, successore di Alberto Il, contro gli interessi della corona d’Ungheria. Dall’assassino del padre, Dracula apprese strabilianti tecniche di guerra e di guerriglia, i segreti della battaglia campale e dell’assedio, dell’incursione rapida in terra nemica e della terra bruciata, del saccheggio e della rappresaglia.

Unite alle sofisticate pratiche di tortura insegnategli dai turchi e alla rabbia accumulata per tutto ciò che gli stato tolto, queste nozioni ne fecero lo spietato combattente che in breve si guadagnò l’orrido appellativo di Vlad Ţepeş, cioè Vlad l’impalatore. Oltre che in battaglia, Hunyadi lo condusse con sé alla corte ungherese, nel castello di Buda. Lì conobbe la crema della società asburgica e Mattia Corvino, primogenito del suo nuovo maestro, destinato a diventare di lì a poco re d’Ungheria.

Non fu di ostacolo a questi rapporti la fama sanguinaria di Vlad, considerata tutt’altro che disdicevole in quel mondo, poiché guadagnata a spese del turco. E per quanto raccapriccianti potessero apparire i tormenti da lui fatti infliggere, non ne furono inizialmente scalfiti agli occhi dell’aristocrazia i meriti acquisiti sul campo. Era diventato uno dei protagonisti più in vista di quella che a tutti gli effetti era una guerra di sterminio.

Al pari dell’addestramento militare, i contatti di Buda furono preziosi per la nuova formazione di Vlad, gregario del sultano fino a pochi anni prima e adesso allievo del Cavaliere Bianco. Fu al fianco di questo carismatico maestro nella battaglia di Szendro, 1454, dove l’armata ottomana dell’emiro Firus Bey venne letteralmente annientata, e in altri scontri decisivi per la cristianità, distinguendosi al punto da ottenere come ricompensa la restituzione dei feudi transilvanici che erano stati di suo padre. Rientrò così in possesso delle cittadelle di Almas e Făgăraş, sulle falde dei Carpazi meridionali, tra la nativa Sighişoara e l’importante centro commerciale di Braşov, detto Kronstadt dai mercanti tedeschi che vi risiedevano numerosi.

I boiardi e la popolazioni della Valacchia fecero fatica a riconoscere Vlad Dracula quando ricomparve nell’estate del 1456. Aveva lasciato il paese all’età di dodici anni, quando era stato dato in ostaggio ai Turchi, e vi aveva fatto solo una breve riapparizione nell’autunno del 1448. Come sapere se fosse davvero il figlio del voivoda Vlad Dracul e non un impostore? I primi a riconoscerlo ufficialmente furono alcuni vecchi boiardi con a capo il jupan Manea Udriste, attivo nel consiglio dei principi a partire dal 1462, il cancelliere Cazan, figlio di Sahac, anch’egli membro del consiglio principesco a partire dal 1431, quindi il vecchio segretario Linart (Leonardo), un sassone originario di Braşov che aveva prestato servizio sotto quattro principi. In quanto al vecchio precettore, il soldato della crociata di Nicopoli del 1396, doveva essere morto. Chi altri ancora avrebbe potuto riconoscere in Vlad il figlio di Dracul?

Esisteva in Valacchia cosi come in Moldavia un modo considerato infallibile per identificare il figlio di un principe. È da un sassone della Transilvania, Georg Reicherstorffer (prima del 1500-1550), che abbiamo quest’informazione: “E non appena nasce il principe erede al trono, gli viene marchiato con il fuoco [forse tatuato] un segno speciale sul corpo affinché una volta raggiunta l’età matura, possa essere riconosciuto senza dubbio alcuno come vero figlio di principe. La stessa cosa avviene in Valacchia, e anche molto spesso.”

A quest’identificazione preliminare seguiva una cerimonia che designava il nuovo principe, essa era riservata al metropolita, ai grandi boiardi e ai dignitari di corte. La cerimonia per l’incoronazione di Vlad si svolse nella chiesa metropolitana di Curtea de Argeş, che egli conosceva bene per essere stata costruita dal padre fuori le mura della città è consacrata il 15 agosto 1439. Sulla torre d’entrata del muro di cinta, Vlad Dracul aveva fatto apporre una lastra scolpita che rappresentava un drago nell’atto di abbattere un animale simile a un leone, allusione alla sua appartenenza all’ordine del Drago che si ritrova anche sulle sue monete.

Dopo l’elezione da parte del metropolita e dei boiardi, questi ultimi uscirono dalla chiesa, salirono su una tribuna e il metropolita annunciò al popolo: “Il vostro principe è morto; chi desiderate scegliere al suo posto come voivoda?”. I boiardi, l’esercito e tutto il popolo riunito gridarono: ”Noi vogliamo solo Vlad, figlio del voivoda Vlad !” All’acclamazione seguì la cerimonia dell’unzione. Il principe venne introdotto presso l’altare maggiore della chiesa metropolitana, dove s’inginocchio mentre il metropolita gli leggeva il rituale dell’unzione.

L’unzione dei principi si faceva con il sacro crisma, un miscuglio di olio d’oliva, balsamo e oltre trenta sostanze profumate, che veniva preparato e benedetto una volta all’anno, il giovedì santo. Quest’olio veniva da Costantinopoli, dove il patriarca e i metropoliti lo preparavano durante una cerimonia speciale. Le Chiese che dipendevano da un patriarcato (cioè che non erano autocefale) non potevano preparare il sacro crisma, che doveva essere imperativamente inviato da Costantinopoli. In seguito il futuro voivoda veniva spogliato e vestito con abiti principeschi. Ricordiamo che, diversamente dai suoi predecessori che vestivano all’occidente (calze, tunica corta e mantellata fissata su una spalla), Vlad fu il primo principe valacco a sfoggiare un caftano turco in velluto e seta broccati d’oro, tessuti fabbricati a Firenze e a Venezia, con bottoni in pietre preziose e la fodera di zibellino.

Le altre onorificenza principesche che gli vennero consegnate al momento dell’incoronazione furono la corona d’oro tempestata di pietre preziose, lo stendardo della nazione in seta damascata bianca con lo stemma del paese, lo scettro (in romeno buzdugan o topuz, parole di origine turca), la spada e la sciabola e infine la lancia. Gli venne offerta anche la croce del Salvatore affinché la baciasse.

Il principe si sedette quindi sul trono, e tutti i presenti vennero a baciargli la mano destra: il metropolita, i sacerdoti e gli altri dei monasteri, i boiardi, i dignitari di corte e i comandanti militari. A conclusione della giornata si tenne un grande banchetto. Attraverso il giuramento di fedeltà che prestavano tenendo le mani sulla croce e sul Vangelo, i boiardi, il clero, gli abitanti dei borghi e i contadini si sentivano molto legati al loro principe. Il tradimento comportava pene spirituali e anche, come vedremo, pene corporali molto crudeli. Dopo l’incoronazione e il giuramento di fedeltà del paese, il principe doveva scegliere il suo consiglio, formato in genere da dodici membri, probabilmente riferimento ai dodici apostoli. Le informazioni in proposito sono lacunose: al giorno d’oggi si conoscono solo quattro editi dal consiglio principesco di Vlad.

Una volta ottenuta nel consiglio la giusta misura tra uomini nuovi, vecchia guardia e grandi del paese, Dracula poteva cominciare a governare; si trattava innanzitutto di stabilire l’ammontare delle tasse e delle varie imposte, le date e le modalità del prelievo. A questo scopo, il tesoriere del paese e i suoi assistenti tenevano dei registri con tutti i nomi delle città e dei villaggi del paese, divisi per dipartimenti, e le somme che ognuno di essi doveva versare. Questo sistema di tassazione era relativamente semplice e dipendeva dal tipo d’imposta.

Vlad si trovò a dover affrontare un problema non indifferente: il tesoriere del suo predecessore si era rifugiato in Transilvania portando con sé i registri del Tesoro. Questo tesoriere, Pahulea, aveva fatto la sua apparizione nel 1451 tra i consiglieri del principe con il titolo di “protovistier” (primo, o grande tesoriere). Nel 1460 faceva parte del consiglio del principe Dan, pretendente al trono della Valacchia, il quale fu sconfitto e condannato a morte da Vlad. A Pahulea toccò la stessa sorte. Insieme a lui erano fuggiti altri boiardi di Vladislav II: il cancelliere Mihai (Michele), presumibilmente assassinato da Vlad nel 1460.

All’epoca il paese contava circa 2.000 villaggi e 17 tra borghi e città. Il numero degli abitanti ci è ignoto, a causa delle poche statistiche, ma possiamo farcene un’idea analizzando i documenti compresi tra il XV e il XVII secolo. Il più antico risale al 1475 e contiene una lista degli introiti del regno d’Ungheria. Tra questi figura una rubrica concernente gli obblighi della Valacchia verso il suo signore Mattia Corvino che però si rifaceva a una realtà precedente : ”Dalla Valacchia, a partire dall’incoronazione del re [Ungheria], riceve un cavallo per casa; il cavallo dei boiardi di [zentilhomini] deve valere 25 ducati e quello di plebei [popolari] quindici; e quando il re prende moglie, essi gli danno un bue; e il numero delle famiglie [casate] è di 40.000. Al tempo del re Ladislao [il Postumo, 1444- 1457] si riceveva 60 000 buoi; oggi non si prende nulla, però essi [i Valacchi] sono obbligati a partecipare tutti alla difesa dello Stato.”

Diciassette borghi e città erano sottoposti a Dracula.Cãmpulung (menzionata nel 1300), Curtea de Argeş (1330) e Tãrgovişte (1408) svolsero il ruolo di corti principeschi. Un secondo gruppo di città era formato dalle città portuali del Danubio, alcune delle quali esistevano anche prima della creazione dello stato valacco. Risalendo il corso del fiume, ecco, apparire Chilia (fondata nel 1318- 1322), ex emporio genovese; Brãila (1368), il più grande porto valacco del XV secolo; Tãrgu de Floci (Linocastro, il «castrum» della lana, XIV secolo); Giurgiu (1394), la fortezza rioccupata dai turchi nel 1448-1449; Turnu, alla confluenza del fiume Olt e del Danubio; infine Turnu Severin, ungherese dal 1419. Le città erano, in genere, capoluoghi di dipartimenti che dal XIV al XVI secolo avevano ottenuto lo statuto urbano che conferiva loro l’autonomia amministrativa e il possesso dell’ocol, una zona agraria sfruttata dagli abitanti dei borghi o dai contadini che dipendevano dalla città.

Al fine di controllare meglio il paese, i principi valacchi costruirono le loro residenze all’interno delle città. Fu il caso di Bucarest, dove Vlad Dracul iniziò nel 1459 dei lavori in tal senso che si conclusero nel 1465. Queste residenze, chiamate dvor in slavo e curte (da curtis, corte) in romeno, ospitavano il centro amministrativo locale (in romeno judeţ) nel quale venivano raccolte le imposte in natura e in denaro. Nei periodi di guerra servivano come centri di raduno per le truppe.

L’esercito valacco era formato da curteni (plurale di curtean) liberi proprietari di allodi e figli di piccoli nobili di campagna, congiunti alle truppe dei boiardi. Questo esercito, chiamato anche “oastea cea mică” (piccolo esercito, da hostis, ost), constava di circa 10.000 uonimi a cavallo, cioè molti meno dell’oastea cea mare (la grande ost: dai 30 000 ai 40 000 uomini), della quale facevano parte tutti gli abitanti maschi in età di prendere le armi. Vlad Dracula poteva contare su un paese ricco di uomini e di bestiame, di sale, di cereali, di legnami e di pesci, dove i vigneti producevano grandi quantità di vino leggero e la selvaggina abbondava. Foreste immense ricoprivano la metà del paese.

La densità dei boschi di querce, di faggi e di ontani era tale che ci si poteva recare dal Danubio alla Transilvania senza mai abbandonare questo mare di verde. Interi carri di pesce salato o affumicato, di bestiame, di miele, di cera d’api, di vino, di pelliccia, eccetera venivano esportati in Transilvania. Dal Levante giungevano spezie (pepe, zafferano, eccetera), tessuti in pelo di cammello (cammellotto), sete, cotone, armi pregiate, vino di Malvasia, eccetera.

Una volta risistemato l’inventario economico del paese Vlad poté dedicarsi alla politica estera. Il primo gesto in tal senso fu il giuramento di fedeltà al re Ladislao il Postumo. Si mise sotto la protezione del re per timore dei turchi e prestò giuramento di fedeltà. Il giuramento prevedeva che il voivoda avrebbe goduto del diritto di asilo in Ungheria e in Transilvania in caso di pericolo turco o di espulsione a causa di motivi interni. Vlad, da parte sua, s’impegnava a difendere i sassoni contro i loro nemici e li autorizzava a circolare liberamente in Valacchia, dove potevano commerciare senza pagare tassa.

Questo trattato rappresentava un brusco cambiamento di direzione rispetto alla linea politica seguita da Vladislav II. Dracula confermava ai mercati di Braşov e di Bãrsa i loro privilegi esorbitanti, senza clausola di reciprocità, e sembrava abbandonare la politica monetaria del suo predecessore.

Il voivoda vide arrivare a Tãrgovişte un’ambasciata turca che reclamava, essendo scaduta la tregua del 1451, il pagamento del tributo annuale, l’invio di un figlio in ostaggio e il diritto di passare attraverso i Carpazi per saccheggiare la Transilvania. L’assedio di Belgrado, tra l’altro, aveva significato una ripresa delle ostilità tra l’Ungheria e l’Impero Ottomano. Murad II era morto il 13 febbraio 1451, dopo trentadue anni di regno e suo figlio Maometto II prende il posto del padre.

Considerato in un primo tempo come un uomo molto debole, poco intelligente, ignorante, senza esperienza militare, dedito più al vino e alle donne che non agli affari dell’Impero, il nuovo sultano aveva fatto tremare la cristianità prendendo d’assalto Costantinopoli, la capitale dell’Impero romano d’Oriente. A partire da questa data non ci furono più anni senza guerre. Le battaglie di Serbia e Bosnia (1454-1456) avevano raggiunto il loro parossismo con l’assedio di Belgrado, l’anno stesso in cui Dracula saliva al trono. Anche sconfitto da Giovanni Hunyadi, Maometto II rimaneva un avversario molto più pericoloso di quanto suo padre non fosse mai stato.

Fino a qual momento Vlad III aveva pensato di poter regolare il problema turco con l’aiuto dei sassoni poiché, concludeva, “Dio mi è testimone che noi pensiamo più al vostro bene e alla vostra stabilità che non alla nostra”. Nonostante questa richiesta di aiuto, tutto sommato modesto e simbolico, Vlad non ottenne niente da parte dei sassoni, egoisticamente trincerati dietro le loro mura e convinti che il re d’Ungheria avrebbe provveduto a difenderli. Dopotutto era a questo scopo che pagavano le imposte e mantenevano i mercenari.

Abbandonato da tutti, impossibilitato a tenere testa agli inviati del sultano, Vlad si rassegnò a pagare un tributo di 10.000 ducati d’oro. Una somma considerevole, cinque volte maggiore di quella pagata dalla Moldavia. Inoltre, il voivoda adesso era obbligato a portarla ogni anno di persona a Istanbul, a prestare giuramento di fedeltà al sultano e a rientrare nel proprio paese, sempre che gli venisse rinnovata la fiducia. La decisione di Vlad Dracula era stata imposta dall’abbandono del suo protettore e dei suoi amici transilvanici.

Tuttavia, il principe valacco dovette rifiutarsi di lasciar passare i turchi attraverso la sua terra per saccheggiare la Transilvania poiché, durante il suo regno non viene mai segnalata nessuna incursione di questo genere. La cittadella attaccata dai turchi doveva essere Turnu Severin; situata in territorio romeno, era occupata dagli ungheresi dal 1419-1420, cosa che spiega l’imprecisione della fonte veneziana. Questo scontro ha avuto probabilmente luogo durante gli ultimi giorni di agosto del 1458.

Si poteva sperare che in seguito a questa schiacciante vittoria sui turchi il giovane re proseguisse le operazioni militari in Ungheria, invece avvenne il contrario. L’otto ottobre Mattia Corvino fece arrestare lo zio Michele Szilagyi a Belgrado e l’esercito ungherese fece dietro front. Il principe valacco si trovava in una situazione estremamente scomoda; abbandonato da Mattia, che era passato dalla parte dei sassoni, Dracula sapeva di dover fare i conti con la reazione violenta di Maometto, al quale aveva appena massacrato parte dell’esercito. Vlad non poteva perdonare ai turchi l’episodio di Turnu Severin. Considerandosi leso nei suoi diritti dall’incursione ottomana, smise di pagare tributo ai Turchi e di recarsi di persona alla Porta, come aveva fatto negli anni dal 1456 al 1458.

Parallelamente a questa decisione, le cui conseguenze sarebbero state pesanti, e allo scopo di aumentare le entrate fiscali, intraprese una vera e propria guerra commerciale con i sassoni di Braşov e di Sibiu. Innanzitutto, batté una nuova moneta, un ducato d’argento di 0.60 grammi, di cui un esemplare è stato scoperto a Tãrgsor, la città nella quale Vlad costruì una chiesa nel 1461. Questa moneta, secondo i numismatici, fu coniata nella nuova officina monetaria di Bucarest, dove nel 1459 Dracula stabilì la capitale del paese.

Il secondo provvedimento di Vlad Dracula consisteva nel divieto di libera circolazione in Valacchia per i mercanti di Braşov e di Sibiu e la delimitazione della loro attività di compravendita delle merci in tre sole città: Cãmpulung, Tãrgsor e Tãrgovişte. In altre parole, queste città valacche ricevevano il privilegio di posto di transito, chiamato “scala” in latino medievale (porto, tappa).

Il regno di Vlad si trovava davanti a una svolta pericolosa. Per difendere il suo paese contro le incursioni ottomane era entrato in conflitto con Maometto II. La protezione dei mercati valacchi e dell’economia del paese in generale gli aveva procurato l’ostilità dei sassoni e, indirettamente, quella del re Mattia Corvino, il quale permetteva a due pretendenti che minacciavano il suo trono – Dan e Basarab – di risiedere in Transilvania, e che da essi si aspettava armi e vestiti, poiché, aggiungeva, «il mio esercito è nudo». Nel febbraio-marzo del 1459, Dan aveva annunciato agli stessi cittadini l’intenzione di recarsi presso l’Imperatore (Federico III), e questa volta chiedeva un aiuto pecuniario.

Infine, il 3 aprile, Mattia Corvino proibiva ai cittadini di Braşov l’esportazione di armi verso la Valacchia, un ulteriore segno della tensione che regnava tra i due principi. Si può facilmente immaginare lo smarrimento di Vlad e dei boiardi; questi ultimi non vedevano certo di buon occhio la situazione senza vie d’uscita nella quale li aveva relegati l’intransigenza del loro voivoda. Alcuni dovettero suggerire una pace con il sultano, che poteva attaccare in ogni momento la Valacchia con la scusa del tributo non riscosso. Alla fine i loro timori si rivelano infondati perché Maometto II si limitò a conquistare Semendria e altre fortezze, mettendo cosi fine all’indipendenza dello stato servo per oltre tre secoli e mezzo.

Vlad vedeva la propria posizione indebolirsi sempre più all’interno del suo paese. Avendo egli una concezione molto particolare della condizione di «sovrano», si sentì in dovere di reagire. Il suo piano d’azione ebbe il merito della semplicità: sbarazzarsi di tutti i possibili traditori e sostituirli con dei fedelissimi. Per portare a termine questo piano, organizzò un gran banchetto nel palazzo principesco di Tãrgovişte la domenica di Pasqua del 1459 che, quell’anno, cadeva il 25 marzo. Il racconto del pamphlet tedesco del 1463 descrive la scena: ”Invitò a casa sua tutti i signori e i nobili del paese; quando il pranzo ebbe fine, si rivolse al più anziano e gli chiese di quanti voivoda o principi che avessero regnato sul paese si ricordasse. L’uomo rispose quel che sapeva; poi interrogò anche gli altri, giovani e vecchi, e a ciascuno chiese quanti poteva ricordarsene. Uno rispose cinquanta, un altro trenta, uno venti, un altro dodici, e nessuno era abbastanza giovane per ricordare [ meno di ] sette. Allora fece impalare tutti quei signori che erano in numero di cinquecento”.

Cinquecento persone impalate in occasione del memorabile banchetto dato nel palazzo di Tãrgovişte, la cifra è, oltre che impressionante, falsa. Teniamo innanzitutto presente che questo raduno non si è potuto svolgere all’esterno, poiché era il 25 marzo. Bisogna allora prendere in considerazioni le dimensioni del salone per i ricevimenti del palazzo. Esso era lungi dall’essere immenso: lungo dodici metri e largo sette. Non vi si poteva sistemare più di due tavoli nel senso della lunghezza e una in quello della larghezza, dove sedeva il principe. Anche se ciascuno dei due tavoli fosse stato lungo dieci metri (bisogna mettere il passaggio dei servi e dei piatti) e anche se i convitati si fossero suddivisi sui due lati del tavolo, non si sarebbe potuto sedere più di quaranta persone. Considerando il principe, il metropolita, che sedeva alla sua destra, e qualche altro favorito sistemato vicino al voivoda, non si può comunque sorpassare la cifra di una cinquantina di persone.

A ogni modo, la notizia cinquanta boiardi massacrati dovette aver fatto senz’altro scalpore. Stranamente, nelle fonti contemporanee non si trovano altre testimonianze su quest’evento. Naturalmente esistono coloro che descrivono la morte dei nemici del voivoda, uomini, donne, bambini impalati, bruciati vivi, sepolti fino al collo nella terra e poi finiti con le frecce, bolliti nei calderoni, impiccati, decapitati, eccetera. Possiamo dunque concludere che il massacro della domenica di Pasqua del 1459 ha avuto come vittime soprattutto i boiardi che non appartenevano alla cerchia dei consiglieri del principe.

Vlad, dunque, si circondava di uomini di fiducia di ogni specie, anche turchi e tartari. La sua corte doveva assomigliare a quella dei sultani ottomani, dove si parlavano le lingue slave, il greco e, per ultimo, il turco. Nello sterminio del 1459, le cifre riferite dai contemporanei – 500 boiardi nei pamphlet tedeschi, alle quali si aggiungono 20.000 persone secondo Calcondila – sarebbero dunque esagerate e risulterebbero dalla confusione con altre azioni violente del principe. Calcondila riferisce anche che Vlad confiscava i beni delle vittime per donarli ai suoi favoriti, uomini nuovi che non facevano parte della nobiltà valacca.

Nell’epoca in cui Vlad Dracula massacrava i suoi oppositori in Valacchia e conduceva una guerra commerciale contro i sassoni della Transilvania, la guerra civile continuava a dilaniare l’Ungheria, dove Mattia Corvino portava avanti la lotta contro Federico III. Fu allora che una tregua di dieci mesi (dal 24 agosto 1459 al 24 giugno 1460) mise provvisoriamente fine alle ostilità tra l’imperatore e Mattia, che ne approfittò per restituire la libertà allo zio. Mattia Corvino promise di partecipare alla crociata a capo di 40.000 uomini, ma a condizione, lui pure, della pace con l’imperatore e del suo riconoscimento come re d’Ungheria.

Il papa Pio II gli offrì allora una somma di 40.000 ducati per finanziare il riscatto della corona, a patto che non concludesse nessuna pace separata con Maometto II. Per ottenere il suo scopo, però, Mattia aveva più che mai bisogno dell’aiuto dei sassoni della Transilvania, che partecipavano per Federico III nonostante la generosità che il re aveva dimostrato nei loro confronti. L’ultimo ostacolo a quest’intesa rimaneva Vlad Dracula e la sua intransigente politica di guerra commerciale. Il principe valacco si rivelava a tutti gli effetti un vassallo scomodo, indipendente e guerrafondaio nei confronti di quei turchi che Mattia voleva tenere a distanza finché il suo conflitto con Federico III non si fosse risolto. E questo nonostante l’impegno solenne di partecipare alla crociata, poiché il giovane re sapeva benissimo che una guerra su due fronti rischiava di essere disastrosa sia per l’Ungheria sia per lui stesso.

Ecco perché autorizzò il pretendente Dan a scacciare Vlad dal trono della Valacchia. Dan, passato alla storia romena con il nome di Dan III, godeva dell’appoggio degli abitanti di Braşov che gli concedevano ospitalità e gli fornivano il denaro necessario all’arruolamento dei mecenati. Questo denaro proveniva, almeno in parte, dalla vendita delle mercanzie dei privati cittadini della Valacchia bloccati a Braşov.

Non appena le nevi iniziarono a sciogliersi, durante la settimana di Pasqua del 1490 – che cadeva il 13 aprile – Dan III varcò la frontiera e marciò contro le forze di Vlad Dracula. L’impresa non fu coronata dal successo, anzi. Il 22 aprile un certo Biagio annunciava da Pest agli abitanti di Bafta (Bardejov, in Slovacchia) la disfatta del pretendente, la sua cattura, la sua decapitazione e le sevizie che Dracula aveva inflitto ai partigiani di Dan: ”È anche vero che il voivoda chiamato Dracula [[[Draculya]]] ha avuto in questi giorni una lotta con il voivoda Dan. E che tra gli uomini del voivoda Dan solo sette sono sfuggiti alla morte più miserabile, e Dan stesso, fatto prigioniero, è stato decapitato per ordine di Dracula. Allo stesso modo, spinto dalla sua ferocia, Dracula ha ordinato l’impalamento degli uomini del voivoda caduti in battaglia. In seguito, anche le donne che ha potuto catturare sono state impalate, con i loro bambini attaccati al seno. E tutto questo a causa della sua crudeltà e per la più grande rovina dei cristiani”.

Il pamphlet tedesco del 1460 aggiunge un dettaglio macabro: “[Dracula] fece prigioniero il giovane Dan e fece leggere l’orazione funebre dai suoi sacerdoti; quando ebbe finito, fece scavare una tomba secondo l’usanza cristiana e vicino a questa lo decapitò”.

La vendetta di Dracula non si fermò qui. C’era da temere una rappresaglia contro Braşov, che aveva accolto il pretendente. Il 28 aprile, Giovanni Gereb de Vingard, un dignitario transilvanico, avvisò i cittadini di Braşov che il voivoda Vlad si teneva pronto e intendeva venire in queste terre per devastarle insieme ai turchi. Terrificati dalla prospettiva, gli abitanti di Braşov, Sibiu e Siebenbürgen inviarono un’ambasciata di cinquantacinque persone, che si presentò a Tãrgovişte per negoziare la pace con Dracula.

Questi, però, non aveva nessuna intenzione di scendere a patti. Per assicurarsi l’effetto sorpresa, Dracula trattenne l’ambasciata cinque settimane circa, sperando che i sassoni si ritenessero al riparo da un attacco durante i negozianti. La guerra lampo del voivoda colpì la regione di Bãrsa e i dintorni di Braşov. I sobborghi di Braşov e la chiesa di San Bartolomeo vennero incendiati, mentre Codlea (Zeidling) e Bod (Beckendorf) furono assediate. Vennero rinvenuti degli impalamenti vicino alla cappella di San Giacomo, su una collina di fronte a Braşov. Fu solo dopo aver portato a termine la sua vendetta che Dracula concluse una tregua di durata indeterminata con gli ambasciatori. Una tregua che, tra l’altro, gli concedeva il diritto di richiamare i rifugiati politici insediati a Braşov.

In luglio Vlad preparò una nuova azione militare diretta, affermò, contro il Făgăraş. Di fatto si trattava di un’astuzia, perché il principe mirava all’Amlas, dove entrò il giorno di San Bartolomeo, il 24 agosto 1460. Il pamphlet tedesco del 1463 è la nostra unica fonte riguardo a questo attaco: “L’anno 1460, il giorno di San Bartolomeo, al mattino, Dracula andò con le sue genti nel paese situato al di là della foresta e da, quel che si dice, diede la caccia a tutti i Valacchi di entrambi i sessi vicino al villaggio di Amlas. Radunò tutti quelli che poté prendere e li fece tagliare a pezzi […] con la spada, la sciabola e il coltello. Portò con sé il sacerdote e coloro che non aveva ancora ucciso e li impalò; incendiò completamente il villaggio con i loro beni; e, da quel che si dice, erano in numero superiore a trentamila [cifra decisamente esagerata]”.

Senza dubbio le rappresaglie di Vlad prendevano di mira gli abitanti accusati di aver ospitato e aiutato pretendente Dan III, il quale menzionava l’Almas e il Făgăraş nel suo titolo principesco. Va sottolineato che Dracula infierì soltanto contro i valacchi, che considerava sudditi ribelli, senza danneggiare i sassoni, con i quali aveva negoziato una tregua rispettata da entrambe le parti. Questi ultimi sviluppi e l’insistenza di Mattia Corvino trasformarono infine la tregua in un trattato di pace. Le richieste di Vlad si trovano in un promemoria dei suoi ambasciatori, l’unico documento che ci sia giunto inerente a caso.

Secondo questo testo, i sassoni di Braşov e di Sibiu dovevano restituire i rifugiati valacchi al principe e fornirgli un aiuto militare di 4.000 uomini in caso di guerra contro i turchi o contro la Moldavia; la due parti dovevano aiutarsi reciprocamente in caso di attacco nemico contro l’una o l’altra; Dracula s’impegnava a ostacolare gli attacchi ottomani contro la Transilvania e chiedeva un risarcimento per i beni confiscati ai suoi sudditi dai cittadini di Braşov durante le ostilità. Dal canto loro, i sassoni chiedevano il ritorno dei prigionieri catturati da Vlad durante le campagne in Transilvania e, presumibilmente, la riapertura delle vie commerciali sottomesse alle condizioni del principe valacco.

Grazie a questo accordo, che prevede un impegno da parte di tutti i sassoni -gli Stühle, Sibiu e Braşov, ma anche gli szekely- tornò a regnare la pace tra la Valacchia e la Transilvania. Anche se mancano altri documenti, si può stare certi che non ci furono conflitti armati tra i due paesi fino alla caduta di Vlad, verso la fine del 1462.

La tregua negoziata da Dracula nel settembre – ottobre del 1460 con i sassoni coincideva con il prolungamento fino al febbraio del 1461 dell’armistizio tra Federico III e Mattia Corvino. Durante questo periodo il re d’Ungheria non rimane inoperoso. In gennaio concludeva un trattato di alleanza con Giorgio Podebrad, re di Boemia, contro Federico III, trattato che venne reso pubblico in occasione delle nozze di Mattia con la figlia del nuovo alleato.

Intanto Dracula si teneva fermo sulle posizioni che aveva assunto dal 1459: rifiuto di pagare tributo a Maometto II e, naturalmente, divieto ai turchi di passare attraverso i Carpazi per le incursioni in Transilvania. In Valacchia l’appello del papa alla crociata non era rimasto inascoltato e il voivoda aspettava solo un segnale da parte di Mattia per congiungersi a lui e agli altri principi cristiani. I rapporti tra i due uomini si erano normalizzati nel 1461, ed essendo Vlad ancora celibe, Mattia pensò bene di offrirgli in moglie una fanciulla della sua famiglia. La notizia di questo progetto matrimoniale giunge subito alle orecchie del sultano grazie alla vasta rete d’informatori che egli manteneva in tutti i paesi limitrofi al suo impero.

Maometto II comprese subito la portata di un tale gesto: un’alleanza politica a senso unico che non poteva che essere diretta contro i turchi. A differenza dei patti e dei trattati di carattere politico, infatti le alleanze matrimoniali si rivelavano solide e stabili nel tempo, generavano figli che potevano ereditare dall’uno o dall’altro paese e, soprattutto, erano spesso preludio all’unione dei due stati o all’annessione del più debole da parte del più forte.

Anche se nel caso in questione le prospettive non erano cosi immediate, Maometto II fece il possibile per impedire la realizzazione del matrimonio. Conoscendo il carattere di Vlad, che aveva avuto agio di osservare durante le udienze a Costantinopoli del 1457 e del 1458, il sultano decise di ricorrere all’astuzia. Alla fine dello 1461 o all’inizio gli mandò l’ambasciata di un segretario greco, Tommaso Cataboleno.

Questo notabile era in stretto rapporto con la Chiesa ortodossa, diretta all’epoca dal patriarca di Costantinopoli Giuseppe I Cocca. La chiesa romena della Valacchia e della Moldavia era una creazione di questo patriarca di Costantinopoli che i greci chiamavano e chiamano ancora ecumenico. I metropoliti dei due passi erano, il più delle volte, ecclesiastici greci inviati dal patriarca e dal suo sinodo per guidare le «pecorelle ignoranti» valacche, russe e bulgare. Il metropolita della Valacchia, Giuseppe, era membro del Santo Sinodo di Costantinopoli e locum tenens di un vescovo d’Asia minore situato in partibus infidelium (occupate dagli infedeli).

Tra le varie funzioni presiedeva anche all’elezione del principe valacco. Pertanto Tommaso Cataboleno non era un semplice agente del sultano, un barbaro ignorante, bensì un diplomatico abilissimo, raccomandato dal patriarca ecumenico. La sua missione era all’altezza del suo talento poiché avrebbe dovuto convincere Vlad a portare di persona il tributo che non veniva pagato da tre anni.

Lo storico greco Duncas precisa che le richieste del sultano erano esorbitanti: oltre al tributo di tre anni cui andavano aggiunti gli interessi (10.000 ducati d’oro) Vlad avrebbe dovuto portare cinquecento giovani uomini per il corpo dei giannizzeri. Questa pretesa era una novità assoluta: di solito la «raccolta» dei ragazzi veniva praticata unicamente tra le popolazioni cristiane dell’Impero Ottomano, oppure tra i prigionieri di guerra. I bambini venivano poi circoncisi e convertiti all’islam, educati in scuole speciali e infine distribuiti tra le varie amministrazioni e i grandi apparati dello stato: il palazzo imperiale, la guardia del sultano, l’amministrazione centrale e provinciale. I giannizzeri formavano la squadra per eccellenza, la guardia del corpo del sultano sul campo di battaglia. Gli altri giovani potevano raggiungere le più alte funzioni militare o civili, ed è risaputo che la maggior parte dei gran visir ottomani dal XV al XVII secolo, il più famoso dei quali fu Mahmoud pascià (dal 1453 al 1468 e dal 1472 al 1473), erano cristiani convertiti all’islam e reclutati attraverso il devsirme oppure selezionati tra i prigionieri di guerra.

La Valacchia, pur pagando il tributo, aveva conservato fino a quel momento la propria autonomia interna, i boiardi vi eleggevano i principi e la popolazione praticava la sua religione senza impedimenti. I turchi non avevano il diritto di stabilirsi in pianta stabile, di possedere case, di comprare terre o di costruire moschee sul suo territorio. Gli unici stranieri tollerati erano i tedeschi e gli ungheresi cattolici, ma vivevano a comunità chiuse ed era loro proibito praticare qualsiasi proselitismo religioso. In compenso, gli ortodossi come i greci, gli slavi meridionali o gli albanesi erano i benvenuti. Soltanto gli zingari avevano lo statuto di schiavi e adottavano la religione della maggioranza della popolazione.

Infine, le conversioni all’Islam erano rare. Molto malviste dalla chiesa ortodossa, la cui autorità pesava, erano considerate una vera e propria calamità: il nuovo convertito, sottoposto a una procedura di morte civile, era costretto a vendere tutti i suoi beni e a lasciare il paese. Il suo nome veniva cancellato dagli obituari familiari (registri che racchiudevano i nomi dei defunti e il giorno della loro inumazione) e il suo ritratto veniva tolto dalla chiesa o dal monastero della famiglia nel caso dei più agiati.

Per tutte queste ragioni Vlad non poteva acconsentire alle richieste di Maometto II. Secondo le cronache turche, che non parlano dei ragazzi reclamati dal sultano, Vlad avrebbe accettato di recarsi alla Porta a una condizione: che il sultano mandasse uno dei suoi bey di frontiera a proteggere il paese durante la sua assenza.

Vlad, infatti, sosteneva che : ”gli abitanti del mio paese non mi sono fedeli, e se mi reco alla porta, chiameranno gli ungheresi e affideranno loro il paese. Maometto II invio allora Hamza Ceakîrdjibasi (l’intendente dei falconieri), governatore di Nicopoli, affinché montasse la guardia sul Danubio”.

Ascoltiamo però Dracula in persona riferire i fatti al re Mattia in una lettera spedita da Bucarest l’11 febbraio 1462: “In altre lettere ho scritto a Vostra Serenità contro i turchi, i nemici dei crudelissimi della Croce di Cristo, ci avessero inviato i loro grandi ambasciatori affinché rompessimo la pace e il trattato pattuiti e fatti tra la Vostra Serenità e noi, e per non celebrare il matrimonio [convenuto]. Invece [del matrimonio], ci inviterebbero ad allearci solo con loro ad andare alla Porta dell’imperatore dei turchi, cioè alla sua corte. E che, se noi non abbandoniamo la pace e il trattato e il matrimonio con la Vostra Serenità, i turchi non manterranno la pace con noi. Avevano anche inviato un consigliere importante dell’imperatore turco, Hamza bey di Nicopoli per salvaguardare la frontiera sul Danubio. Se questo Hamza bey avesse potuto condurci alla Porta in un modo o nell’altro, con astuzie, giuramenti o qualche altra macchinazione, tanto meglio. Altrimenti, ci avrebbe catturato e portato come prigioniero. Ma, grazie a Dio, mentre andavamo verso la frontiera in questione, siamo venuti a sapere delle loro furberie e astuzie, ed è cosi che abbiamo catturato Hamza bey nel paese turco vicino a una fortezza chiamata Giurgiu.”

Nella sua lettera Vlad non parla di tributi, né di ragazzi, né di viaggio a Costantinopoli, ma soltanto di una salvaguardia della frontiera che nascondeva un’imboscata. Comunque fosse, l’azione diplomatica si concluse drammaticamente: Hamza bey di Nicopoli e Tommaso Cataboleno subirono il supplizio del palo, e i loro uomini, una quarantina, vennero storpiati prima di essere a loro volta impalati sotto le finestre del palazzo di Tãrgovişte. Qualche mese dopo Maometto II e il suo esercito poterono contemplare i resti, ancora esposti allo sguardo dei curiosi.

La vendetta di Vlad non si fermò qui. In pieno inverno, dopo aver attraversato il Danubio gelato, il voivoda divise l’esercito in più corpi ed effettuò un’incursione devastante su quasi 800 chilometri di territorio, da Chilia fino a Rahova, vicino alla foce del Jiu. Non risparmiò nessuna città, nessun villaggio, fossero turchi o bulgari, fece distruggere tutte le istallazioni e le imbarcazioni dei punti di passaggio del fiume, uccidendo o deportando sulla riva sinistra del Danubio migliaia di cristiani. L’incursione aveva scopi precisi: impressionare gli ottomani, creare una zona deserta a sud del fiume, distruggere i covi di akinddjis e di martolos, noti anche con il nome di «cacciatori e incendiari», soldati irregolari pagati con il bottino che recuperavano e dislocare una popolazione che durante le campagne rifornisse gli eserciti imperiali di viveri, guide, spie, carrettieri e ausiliari di ogni tipo.

Dopo aver fatto resoconto di queste imprese al re d’Ungheria, Vlad aggiunse il bilancio di questa macabra spedizione: 23.883 morti, «senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o le cui teste non sono state mostrate ai nostri ufficiali».

Gli ottomani non avevano mai subito tante perdite in cosi poco tempo. Ecco il bollettino della vittoria di Vlad aggiungeva un sinistro post scriptum: “Registro dei luoghi in cui persone dei due sessi, turchi e bulgari, sono state uccise in Turchia dal signor Vlad, voivoda della Valacchia. Dapprima nelle località Oblucita e Enisala sono stati uccisi 1250 eccetera; e a Silistra e a Cartal e Didopotrom sono stati uccisi 6840 [5840 nella copia di Wolfenbüttel]; e a Hãrsova 343; a Vardim sono stati uccisi 840; a Turtucaïa sono stati uccisi 630; allo stesso modo, le fortificazioni che la circondano sono state prese, una sola torre è rimasta; a Marotin sono stati uccisi 210, a Giurgiu sui due lati sono stati uccisi 6414 e la fortezza dell’altra riva del Danubio è stata conquistata e occupata. Il signore della piazzaforte, il subasi, è stato ucciso ed è li che è stato catturato Hamza bey; il subasi di Nicopoli, il figlio di Firuz bey, è stato catturato e gli è stata tagliata la testa; e i turchi più potenti che abitavano a Nicopoli sono morti con lui. Allo stesso modo a Turnu e a Batin e a Novigrad sono stati uccisi 384, a Sistov e nei due borghi che ne dipendono sono stati uccisi 410 allo stesso modo, il guardo di Nicopoli è stato interamente bruciato e distrutto; stessa cosa per Samovit; e a Gigen sono stati uccisi 1318; nel borgo di Rahova sono stati uccisi 1460; anche qui il guardo è stato completamente brucciato. E il signor Vlad ha nominato Neagoe capitano a Rahova”.

Vlad era all’oscuro delle manovre di Mattia e sperava che il re aderisse alla crociata decisa a Montova nel 1459. In quella primavera del 1462, dunque, Dracula seguiva con estrema attenzione i movimenti dei turchi: Maometto II, infatti, stava preparandosi una grande campagna che voleva condurre di persona. L’esercito – il più imponente dopo quello che aveva conquistato Costantinopoli (da 60.000 a 80.000 uomini)- e la flotta (25 triremi e 150 navi da trasporto) si riunirono nel periodo compreso tra marzo e aprile. Riguardo alla direzione principale dell’attacco circolarono le voci più disparate: la Transilvania? Belgrado? A Buda si venne presto a sapere che il Gran Turco si era messo in marcia da Costantinopoli, tre giorni dopo San Giorgio, per «distruggere la Valacchia». Gli ottomani prendevano di attraversare il Danubio a Vidin, la fortezza turca nei presi dell’Ungheria rimasta intatta dopo l’incursione di Dracula. Il voivoda non perse tempo. Una lettera proveniente da Severin afferma che chiamò alle armi tutti gli uomini validi a partire dai dodici anni d’età dopo aver messo al sicuro le donne e i bambini.

Alla testa di un esercito stimato di 31.000 uomini, Dracula si preparava ad affrontare il sultano cercando nel contempo di tenere sotto controllo il Danubio. L’avanzata della flotta ottomana sul Mar Nero lo costrinse però a dividere le forze e a mandare un corpo di 6.000 uomini in difesa di Chilia, minacciata anche da Stefano il Grande di Moldavia.

Il mese di giugno del 1462 si sarebbe rivelato decisivo per Dracula e il suo paese. Giunto a Vidin, l’esercito ottomano riuscì nonostante perdite considerevoli, a oltrepassare il Danubio il 4 giugno. L’eco della resistenza accanita dei valacchi durante questa giornata sanguinosa risuona ancora nelle Memorie del serbo Costantino Mihailovic, uno dei giannizzeri che avevano partecipato all’insediamento della testa di ponte sulla riva sinistra del Danubio. Una volta attraversato il fiume, la pianura valacca non offriva altri punti di resistenza agli invasori. L’esercito di Maometto II si mosse sotto un sole di fuoco, a tal punto, racconta un testimone, “che le armature dei grazi potevano servire a cuocere il kebab” . Dopo due settimane di scaramucce e di operazioni di logoramento, Dracula attaccò di sorpresa il campo turco nella notte tra il 17 e il 18 giugno. Lo scopo era quello di uccidere il sultano e i suoi fedelissimi, tra i quali il gran visir Mahmud pascià. Travestito da mercante turco, poiché parlava perfettamente la loro lingua, il voivoda aveva spiato egli stesso il campo e aveva potuto localizzare le tende dei capi.

Viene riferito che prima dell’impresa Dracula dichiarò ai suoi uomini: «Chi tra voi teme la morte non venga con me ma se ne resta qui!». Con un numero di uomini compreso tra i 7.000 e i 10.000, diviso in due distaccamenti, Dracula piombò sul nemico tre ore dopo il tramonto, alla luce delle torce e con il suono dei corni. Le truppe ottomane opposero una strenua resistenza ma subirono pesanti perdite umane e di animali (cavalli, cammelli e bestie di soma). Nel furore della battaglia, in mezzo alle urla degli agonizzati e muovendosi nella semioscurità, Vlad confuse la tenda del sultano con quella del visir Mahmud e Isaac. Quando spuntò l’alba Maometto II era ancora vivo. Dracula dovette rassegnarsi a ordinare la ritirata. Le sue perdite erano relativamente leggere e, benché non avesse raggiunto lo scopo che si era prefisso, aveva impaurito il nemico. Alì Mihaloglu, capo dei «cacciatori e incendiari», il corpo d’armata che possedeva i migliori cavalli, si lanciò all’inseguimento dei valacchi e riuscì a fare molti prigionieri: 1.000 secondo Calcondila, 7.000 secondo gli storici turchi. Condotti davanti al sultano, tutti furono decapitati. Vlad, invece, con il rimanente delle sue truppe, era riuscito a rifugiarsi nelle grandi foreste del paese.

Un aneddoto che riguarda l’azione temeraria di Dracula merita di essere riportato. È stato scritto a Buda da Teodoro Kuricyn, l’ambasciatore del principe Ivan III di Mosca tra il 1482 e il 1483, e ha luogo nel campo di Vlad dopo l’attacco notturno: “Coloro che tornarono dalla battaglia insieme a lui, li esaminò personalmente. A chi era ferito sul davanti rese onore e lo fece cavaliere [viteaz]. Ma chi era ferito sulla schiena, diede ordine d’impalarlo per il didietro dicendo: “Non sei uomo, sei una donna!” Furioso Vlad, avrebbe dunque ispezionato i suoi uomini e punito coloro che, feriti sulla schiena, erano fuggiti davanti al nemico.

Dopo questo scontro l’esercito turco, che ora si teneva ben all’erta, continuò l’avanzata verso la capitale del paese, Tãrgovişte. Racconta Calcondila: “E ogni notte egli [il sultano] circondava l’accompagnamento con una palizzata e lo teneva chiuso, mettendo molti posti di guardia come sempre e dando ordine alle truppe di tenere le armi pronte giorno e notte.“ E continuando ad avanzare in questo modo, a ranghi serrati, in Dacia, giunse nella città in cui il principe Vlad aveva la sua residenza.

Il terzo regno di Vlad si concluse rapidamente e in modo tragico. Verso il Natale del 1476 Basarab III fece un ritorno improvviso grazie all’aiuto dei bey turchi del Danubio e, nella battaglia che segui, Dracula fu «tagliato a pezzi» insieme a 4 000 suoi uomini, secondo le parole di un contemporaneo, Leonardo Botta, inviato del duca di Milano a Venezia. Dei duecento uomini che gli aveva lasciato Stefano, solo dieci riuscirono a salvarsi. Per Giacomo Unrest e per lo storico polacco Jan Dlugosz, entrambi vissuti all’epoca degli avvenimenti, Dracula fu vittima del tradimento di uno dei suoi uomini di fiducia, un turco , furtivamente , al principe, alle sue spalle, gli tagliò la testa con la spada. Morto Dracula, i suoi uomini si persero d’animo e furono sconfitti dagli avversari. Qualche anno dopo, però a Buda, l’ambasciatore russo Kuricyn veniva a conoscenza di una versione diversa degli ultimi momenti di Vlad: “La fine di Dracula avvenne cosi: mentre regnava nel paese di Muntenia, i turchi attaccarono il suo paese e cominciarono a conquistarlo; Dracula li attaccò e li mise in fuga. Il suo esercito li uccideva senza pietà, e con gioia Dracula salì su una collina per vedere meglio i suoi che massacravano i turchi. Si allontanò cosi dal suo esercito e dai suoi uomini. Prendendolo per un turco, uno di essi lo colpì con una lancia. E lui, vedendosi attaccato dai suoi, uccise subito con la spada cinque di coloro che volevano ammazzarlo. Ma fu trafitto da molte lance, e fu cosi che venne ucciso”. Qualunque fosse la versione esatta, la testa di Vlad- o meglio il suo scalpo (pelle del volto e capelli)- imbalsamati e riempita di cotone, secondo il metodo turco, fu portata a Maometto II che si affrettò a farla riconoscere da quelli tra i suoi uomini che un tempo avevano avvicinato il voivoda.

Non si conosce la tomba di Vlad. La tradizione vuole che Dracula sia stato sepolto nel convento di Snagov, su un’isola, nel bel mezzo di un lago situato a trentacinque chilometri da nord di Bucarest. La chiesa attuale risale all’inizio del XVI secolo; le celle e le altre costruzioni sono scomparse e solo qualche rovina attesta l’esistenza del convento del XIV e XV secolo; secondo la cronaca ufficiale della Valacchia sarebbe stato ricostruito da Vlad. Una serie di restauri iniziati nel XX secolo hanno restituito all’edificio l’aspetto di un tempo, gli affreschi del XVI secolo hanno rivelato alcuni ritratti principeschi degli anni 1550- 1560, piuttosto ben conservati. Ma nulla su Vlad o i suoi discendenti. Tuttavia, nel XIX secolo, i monaci mostravano ai visitatori una pietra tombale, incastrata nel pavimento della chiesa, la cui iscrizione era completamente cancellata. I frati aggiungevano che era stata messa li affinché venisse calpestata dai celebranti durante gli uffizi. L’anima peccatrice del defunto trovava cosi qualche sollievo alle pene eterne alle quali era condannata. La pietra si trova attualmente di fronte alle porte dell’iconostasi davanti all’altare maggiore. Questa tradizione è stata rilevata nel 1861. Non ci sono né prima né dopo questa data, documenti o iscrizioni che indichino un’altra sepoltura del principe. Come in tutte le tradizioni, vi è qualcosa di vero e qualcosa di falso. Durante gli scavi archeologici effettuati nella chiesa di Snagov nel 1932 e 1933, la tomba venne trovata vuota, eccezion fatta per alcune ossa di animali preistorici. L’assenza di resti di origine umana incuriosì gli archeologici che decisero di scavare più a fondo. Fu cosi che venne scoperta, a tre metri di profondità, una cripta intatta situata nell’asse centrale della navata. La lastra senza inscrizione s’incastrava perfettamente sulla cripta, anch’essa in pietra. In un bel pomeriggio d’estate, l’archeologo Dinu V. Rosetti e lo storico George D. Forescuaprirono infine la tomba e- sorpresa!- vi trovarono il defunto perfettamente conservato all’interno di una barra rivestita con un tessuto color porpora dalle cuciture dorate. La luce declinante del giorno che filtrava attraverso la porta aperta della chiesa colpiva direttamente la tomba e permise di costatare che si trattava del cadavere di un uomo, vestito con un abito di velluto color porpora o verde, di taglio occidentale, chiuso con grossi bottoni di filo d’argento dorato, stretto in vita con una cintura di placche d’argento a losanga. Il volto era coperto da un drappo di seta e, da una manica, pendeva un anello femminile. Un diadema d’oro da torneo, decorato con piccole sfere di ceramica alternante a gancetti d’oro che trattenevano un turchese, era posato vicino alle mani del defunto. A contatto con l’aria il corpo di decompose in pochi minuti, prima che gli archeologi potessero vederne il volto o scattare una foto. Rosetti e il suo collega Florescu erano convinti che si trattasse della vera tomba di Vlad l’Impalatore. Il fatto che era il morto avesse una testa poneva un problema: sappiamo infatti che la testa di Vlad era stata tagliata e portata a Costantinopoli. Alcuni pensarono si trattasse di Vlad Dracul, suo padre, ma senza provarlo. Si pensa che si tratta di un falso problema poiché è risaputo che i turchi toglievano solo la pelle del viso e i capelli, e lasciavano che il cranio venisse seppellito insieme al resto del corpo. Uno dei motivi di quest’usanza era la proibizione di affondare la mano nella bocca del morto per trasportare e manipolare la testa tagliata. Uno dei più antichi esempi in questo senso è quello del barone austriaco Herbord von Auersperg, ucciso in una battaglia contro i turchi nel 1575. Quando la vedova chiese il corpo e la testa per sotterrarli, il pascià Ferhard le rispose: ”Vi sarà data anche la testa: ma prima bisogna scorticarla per impagliare la pelle, che mi servirà da trofeo durante la mia entrata trionfale a Costantinopoli”. Il cadavere scoperto a Snagov potrebbe quindi essere quello di Vlad l’Impalatore, il quale sarebbe stato sepolto con il cranio senza pelle, da cui la presenza del drappo che gli copriva il volto. Purtroppo gli oggetti trovati nella tomba sono scomparsi tutti durante i vari trasporti al Museo municipale di Bucarest. Tutti tranne i bottoni e qualche frammento di tessuto che si possono ancora ammirare nelle collezioni di questo museo. Precisiamo che finora nessun’altra chiesa in Valacchia ha rivendicato l’onore di ospitare i resti di Dracula. Tuttavia, uno storico romeno ha recentemente ipotizzato che la tomba di Vlad potrebbe trovarsi in una delle chiese da lui erette, la chiesa conventuale di Comana, a sud di Bucarest. Quest’idea non è priva d’interesse: Comana si trova vicino alla strada che i turchi percorrevano per andare da Giurgiu a Bucarest, ed è presumibilmente in questa regione che ebbe luogo l’ultima battaglia del principe. Gli scavi archeologici condotti a Comana hanno portato alla luce l’antica chiesa del XV secolo, ma nessuna tomba né iscrizione permettono di situarvi la sepoltura di Vlad. La stessa osservazione si può applicare alla chiesa di Tãrgsor, l’altra chiesa costruita da Dracula. In attesa di altre scoperte possiamo dunque accettare come plausibile l’idea che la sepoltura del principe si trovi a Snagov. Nella memoria popolare rumena, prevalse sull’orrore per le atrocità commesse da Vlad Ţepeş l’ammirazione per le sue virtù guerriere, per il suo spirito di libertà, per le coraggiose gesta compiute in difesa della sua terra contro i turchi. Si addussero ad attenuante delle crudeltà di cui si era macchiato motivazioni fatalistiche: la guerra era di per se stessa crudele, il nemico faceva altrettanto, non esistevano altri modi per fronteggiare il terrore ottomano. Era stato “un sovrano terribilmente severo, s’intende, ma la sua ira l’aveva principalmente rivolta contro coloro che osavano mentire o maltrattare la povera gente” (gli studi folcloristici rumeni sono pieni di testimonianze come questa, resa nel 1910 da una vecchia contadina del distretto di Muscel). Ne convennero ingenuamente gli stessi sassoni, vittime abituali di spietate persecuzioni da parte di Dracula, ammettendo nel manoscritto di San Gallo che «quando qualcuno rubava, mentiva o si macchiava di qualsiasi ingiustizia nelle sue terre, non aveva nessuna possibilità di salvarsi, sia che fosse un nobile, un prete o un cittadino qualunque». Il mito del patriota temerario e quello del savio governante concorsero insieme a consolidare nella memoria storica popolare l’immagine di un principe esemplare, in grado di salvaguardare non solo l’indipendenza del regno ma di assicurare all’interno l’ordine, la legalità, la stessa laboriosità degli abitanti. Ne venne fuori una sorta di eroe nazionale, pronto ad esercitare nel modo più tremendo ogni potere se fosse stata in gioco l’integrità della sua terra. Tentò di sfruttarne la popolarità fino in fondo, come si è visto, il presidente Ceausescu, che non mancò mai di ostentare il suo coinvolgimento emotivo in tutto ciò che la figura di Dracula rappresentava, fino a scegliere il lago di Snagov per propria residenza estiva.

Nel giugno-luglio del 1463 il re d’Ungheria Mattia Corvino conclude un soggiorno della delegazione ungherese venuta a concludere il trattato di Wiener Neustadt che coincide con l’apparizione di un pamphlet in lingua tedesca intitolato Storia del voivoda Dracula, stampato presumibilmente a Vienna da Ulrich Han. L’origine di questo testo rimanda alla Transilvania e all’Ungheria e contiene dei dettagli che solo i sassoni potevano conoscere. Alcuni fatti si ritrovano nelle lettere del principe Dan (dal 1459 al 1460), il quale ne era venuto a conoscenza dai cittadini di Braşov. Altri provengono da Sibiu e dalla sua regione, bersaglio delle incursioni di Vlad. La testimonianza degli ambasciatori d’Ungheria, di Braşov e del Siebenbürgen viene citata almeno due volte. La lettera di Vlad del 11 febbraio 1462 indirizzata al re Mattia è anch’essa servita. A differenza di questi episodi, tutti datati o che rientrano in un quadro cronologico, un’altra categoria di aneddoti ha un carattere più vago: non vengono citati nomi di località, né individui, né date. Questi passaggi devono senza dubbio la loro origine ai rifugiati Valacchia in Transilvania, i quali li conoscevano per sentir dire. Nessun esemplare di quest’incunabolo, un opuscolo di sei foglietti con il ritratto di Vlad in prima pagina, si è conservato. In compenso, conosciamo almeno quattro copie realizzate negli anni seguenti e conservate in Austria (monastero di Lambach), in Svizzera (monastero di San Gallo), in Francia (biblioteca municipale di Colmar) e in Gran Bretagna (British Library). Il manoscritto delle British Library è l’unico completo. Il pamphlet ha lo schema di una successione di aneddoti senza nesso tra di loro e senza cronologia. Solo due episodi sono datati, il n.24 (1460, giorno si san Bartolomeo) e il n. 25 («l’anno del Signore 1462»). I tre primi episodi si presentano come una successione nel tempo: la condanna a morte del «vecchio Dracul» da parte di Giovanni Hunyadi, l’insediamento di Vlad come principe della Valacchia e la morte di Vladislav II, infine la spedizione nel Siebenbürgen vicino Hermannstadt [Sibiu]. Il 36° e ultimo episodio riferisce l’arresto di Vlad. Gli altri aneddotti possono essere divisi in due categorie: – quelli che riportano fatti precisi, anche se la loro presentazione non obbedisce a nessuna regola, né cronologica né geografica: le spedizioni in Transilvania, la decapitazione del principe Dan, eccetera; – quelli che non comportano nessuna precisazione di date luoghi e persone. Un gran numero di episodi (trattano direttamente delle persecuzioni contro i sassoni della Transilvania e anche contro i romeni di Fãgãraş e dell’Amlas, sudditi ribelli di Vlad; sette hanno come vittime persone anonime, appartenenti in parte a quella stessa categoria; quattro mettono in scena gli ambasciatori della Transilvania o di altri paese; due di altre categorie, zingari, turchi, uomini di Chiesa, nobili; aneddoto riguarda i poveri, un aratore, la concubina del principe, gli uomini che avevano nascosto il suo tesoro. Ciò che colpisce nella letteratura di questo testo è l’assenza di ogni casualità, di ogni legame logico tra i vari episodi. L’unico punto in comune è Vlad, il quale sembra spinto da una rabbia omicida contro il mondo intero, senza alcuna logica né riflessione. Perché attaccare sassoni della Transilvania? Perché se la prende con i turchi? Con i monaci? Con gli zingari? Di cosa si erano resi colpevoli? La lettura di queste pagine, che non sono altro che un catalogo di orrori, non ci dà nessuna risposta. Non si tratta di una Storia ma di volgare repertorio di fatti si cronaca atroci. Come si vede, l’interesse per il principe valacco non si era spento, dopo il 1463, alcune notizie provenienti dall’Ungheria, dalla Transilvania e dalla Valacchia lo riguardano ancora. Queste informazioni venivano propagate dai mercanti, dai monaci e dalle persone che vivevano nella cerchia del re Mattia Corvino a Buda. È sorprendente constatare che a partire dal 1488 il pamphlet Storia del voivoda Dracula venne stampato di nuovo e conobbe tredici edizioni tra questa data e il 1568. Tutte queste edizioni apparvero in Germania, nelle grandi città imperiali: cinque a Norimberga (1488, due edizioni; 1499; 1520 circa, 1521), tre ad Augusta (1494, 1520- 1542, 1559- 1568), e una a Lubecca (1488- 1493), a Bamberg (1491), a Lipsia (1493), a Strasburgo (1500) e ad Amburgo (1502). Dopo il 1490 la Storia del voivoda Dracula perse la sua attualità politica per diventare un libro popolare, la lettura prediletta di un pubblico avido di storie nelle quali i tiranni e i mercati la facevano da padroni. Dracula divenne cosi un exemplum, l’incarnazione del male, un tiranno come Erode, l’assassino degli innocenti, o come i persecutori dei cristiani Nerone e Diocleziano, i quali si deliziavano con torture simili a quelle attribuite a Dracula e che i predicatori conoscevano bene attraverso le vite dei martiri. Cosi Teodoro Zwinger, autore di un Theatrum viae humanae (basilea, 1571), pone Dracula tra i principi malvagi nei capitoli Crudeltà di principi verso i loro sudditi, Interrogatori e torture dolorose e Disumanità contro i malati. Il carattere sacro del pranzo e la sua deturpazione attraverso i crimini si trovano nel poema Flőhhaz di I Fischer (1573), che rievoca il pranzo di Dracula sotto i cadaveri degli impalati, una scena che si poteva ammirare nell’edizione di Strasburgo del 1500. Nel 1581 Zaccaria Rivader descrive le crudeltà di Dracula nel capitolo Historien und Exempel von bősen und Gottlosen Regenten und Oberkeitein von Tyrannen und ihren bősen unlőblichen und tyrannischen Thaten und Wercken della raccolta di exempla. Nel 1596 Giorgio Steinhart elenca i misfatti del tiranno «selvaggio» ma aggiunge che egli si sforzava di mantenere vive la fedeltà e la fede. Sappiamo che Vlad era cristiano ortodosso, come la maggior parte della popolazione della Valacchia. Peraltro, al principe è stata attribuita la fondazione di almeno due chiese – Tãrgsor e Comana – e forse Snagov, alle quali fece delle donazioni. È anche risaputo che fece donazioni e confermò i privilegi del monte Athos. Nel caso degli altri due monasteri, Cozia, fondato dal suo nonno, e Tismana, ancor più antico, va detto che nel 1457 e nel 1458 il principe emise delle carte che ne confermano le proprietà. Nel suo paese e in Ungheria il personaggio del voivoda valacco aveva un’altra dimensione, che fini per imporsi e diventare «verità» politicamente corretta. Tutto iniziò nel 1524, quando un patrizio ragusano, Michle Bocignoli (Bocinich), pubblicò una lettera aperta a Gerardo de Plaines, signore de la Roche, uno dei segretari dell’imperatore Carlo V. Bocignoli era vissuto in Valacchia all’epoca di Mihnea I (1508- 1510) e la sua lettera fu considerata come una descrizione della storia e delle risorse economiche e militari del paese nella prospettiva di una guerra contro gli ottomani. E anche come la versione ufficiale, alla corte di Mihnea, del regno e della personalità di suo padre. Bocignoli inizia la storia della Valacchia con Dragulus (Dracula), «uomo vivace ed esperto delle cose militari». Viene poi ricordata la guerra contro Maometto II e il tradimento dei boiardi che preferiscono la pace con i turchi al proseguimento delle ostilità. I principi che seguirono, indeboliti dalle lotte interne, furono incapaci di mantenere l’indipendenza del paese, che nel 1524, era «quasi sottomessa ai turchi». La lettera si conclude con la rievocazione delle guerre condotte dal principe Radu de la Afumati contro Solimano il Magnifico negli anni 1522- 152326. Questo testo è importante sia perché cancella ogni riferimento alle crudeltà di Dracula sia per il gioco di parole Dragulus/Dracula, che elimina il rimando diabolico al nome del principe e lo sostituisce con un altro che significa «caro, amato» (drag, in romeno). Questo cambiamento di significato, che troviamo anche in altri autori del XVI secolo, è spiegato bene da Antonio Veracsics (1504- 1573), dignitario ungherese di origine dalmata diventato arcivescovo d’Esztergom e primate d’Ungheria. Nel paese di Dracula, e fin dalla seconda metà del XVI secolo, Dracula cadde presto in oblio. I cronisti valacchi lo menzionano appena e lo confondono con altri principi del XV secolo, le sue efferatezze e le sue gesta passarono sotto il silenzio e gli venne accreditata solo la costruzione della fortezza Poienari. Bisogna aspettare il 1804 perché Dracula ridiventi un personaggio storico a pieno titolo.

Anche se castello Bran viene presentato ai turisti come il castello di Dracula, in verità questo castello viene costruito dai sassoni di Braşov. È situato a 30 chilometri dalla città di Braşov, tra i monti Bucegi e la pietra del Crai, in un paesaggio pittoresco e meraviglioso, pieno di storia e di mistero. Costruito nel 1378 sullo spuntone di una roccia, il castello di Bran doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Era anche un posto di dogana, residenza reale è divenuto ora museo di storia, divenendo cosi la culla del turismo rumeno. Le prime informazioni sul castello ci sono fin dal 1377 quando re magiaro Ludovico d’Anjou accorda il diritto degli abitanti di Braşov a costruire una fortezza di pietra su una roccia per permettere la sorveglianza della strada commerciale verso Bran. Il castello, è stato per lungo tempo occupato da: magiari, secco, austriaci avendo, per posizione strategia una funzione sia militare che economica. Tra il 1920 e il 1948 il castello è di proprietà della regina Maria di Romania, poi per la sua figlia Ileana. Dopo questo periodo il castello è stato abbandonato fino al 1956, quando, a seguito di una parziale ristrutturazione, è stato aperto al pubblico come museo di storia e arte feudale. Il castello Bran è più importante e significativo monumento meglio conservato come valore architettonico, in ogni periodo della sua storia, è stato modificato dai cambi di stili e correnti artistiche, da spiegare cosi la fusione di architetture diverse, da quella gotica militare, con quella rinascimentale. La fortezza costruita con blocchi di pietra di fiume e di mattoni, per dare maggiore solidità e sicurezza in condizioni di lotte. E sormontato da quattro torri nei quattro punti cardinali: la torre della polveriera, la torre di osservazione, la torre a est e la torre della porta. Tra 1920-1927 il castello venne restaurato sotto guida dell’architetto della corte reale, Carol Liman, il quale trasforma in una bella residenza estiva, con tanto di parco, lago, fontane e terrazze. Il castello Bran è più importante e significativo monumento meglio conservato come valore architettonico, in ogni periodo della sua storia, è stato modificato dai cambi di stili e correnti artistiche, da spiegare cosi la fusione di architetture diverse, da quella gotica militare, con quella rinascimentale. Le camere e i corridoi delle mura di cinta del castello, formano un labirinto misterioso dove ci sono esposte importanti reperti dell’epoca e tra i più importanti si posso ammirare: La sala d’armi dove sono presenti armi specifiche del XV-XVII secolo, tra cui: balestre, fucili, spade e armature dimostrando cosi il carattere militare di castello. La sala dei consigli o cancelleria del XVII secolo, con documenti emessi dalla cancelleria del castellano. La cappella della fortezza con pronunciati elementi gotici presenta pezzi di arte plastica, fornire gotico e pezzi di scultura in legno di secolo XV-XVI. La sala di musica con palco di trave contiene pezzi in stile rinascimentale, tedesco, fiorentino, stile barocco austriaco, pezzi di ceramiche italiane, inglesi e spagnole risalenti al periodo che va dal XVI al XVIII secolo. La camera da letto con un imponente letto con baldacchino, monumentale come dimensione, appartengono allo stile barocco austriaco del XVII-XVIII secolo. La camera orientale o camera “tirolese”, con icone di legno, importanti per valore storico e artistico. Sotto le scale c’è una camera stretta che veniva usata come prigione del castello. Il capitello della fontana del cortile interno, che veniva usata come nascondiglio sotterraneo, rappresenta una importante scultura di pietra in stile rinascimentale completano complesso architettonico del castello. Soltanto dalle parti del castello Bran si può “sentire” la vera leggenda, il mondo si apre verso la storia in un spazio indefinito del tempo, dove andare incontro a un mondo affascinante e unico, dove la grandezza si intreccia con il buon gusto, dove il mistero si fonde con l’eternità dalla una favola, dove la leggenda di Dracula, il vampiro diabolico, pare dominare all’infinito. Il vero castello di Dracula, ora in rovina, è situato sulle rive dell’Argeş ed è la fortezza di Poienari.

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