Il Conformista (1970) – Bernardo Bertolucci

il_conformistaParigi, ottobre 1938. Un’insegna illumina con la sua rossa luce intermittente l’interno di una stanza d’albergo dove, semiseduto su un grande letto, c’è un uomo vestito di tutto punto che scruta ripetutamente l’orologio che porta al polso. C’è silenzio e la splendida musica extradiegetica di George Delerue conferisce al tutto un’aria estremamente malinconia.

La luce del giorno lentamente rischiara l’ambiente. Il telefono sul comodino squilla e l’uomo risponde parlando sottovoce di qualcuno che è partito, dopodiché indossa il cappotto nero nel quale infila una pistola.
La camera si alza per mostrarci l’altra piazza del letto, dove giace una donna svestita che l’uomo copre con un lenzuolo prima di andar via.
Semplicità, elemento essenziale in quella che è una delle scene d’apertura più belle nella storia del cinema.

Il Conformista, pellicola del 1970, è il quarto lungometraggio di Bernando Bertolucci. Ispirato all’omonimo romanzo di Alberto Moravia, il film, che può considerarsi un autentico capolavoro, mostra la raggiunta maturazione artistica del regista parmense, capace di coniugare gusto estetico sopraffino e riflessioni tematiche mature e profonde. Basti pensare che Francis Ford Coppola durante le riprese de Il Padrino mostrò in continuazione Il Conformista alla sua troupe, affermando che Bertolucci aveva elaborato un nuovo modo di fare cinema.
Il Conformista è un’opera magnifica che, nonostante conti più di 40 primavere, risulta essere attuale e modernissima, capace di catturare, interrogare e distruggere lo spettatore.

La narrazione procede principalmente attraverso analessi.
Roma, poco tempo prima. L’uomo è Marcello Clerici, un funzionario di Stato che volontariamente decide di lavorare come spia al servizio dell’Ovra. L’idea, proposta dallo stesso Marcello, è di introdursi nell’organizzazione di propaganda antifascista guidata da Luca Quadri, ex docente universitario di Clerici fuggito a Parigi dopo le minacce e i soprusi subiti dalle squadracce.
Ben presto però, dato il riscontro dell’attività di Quadri, i vertici del partito cambiano il piano.

Clerici accetta di uccidere Quadri benché non sia un assassino; è membro del partito fascista nonostante non ne condivida l’ideologia; sta per sposare Giulia della quale non ha una buona opinione.
Perché?

Come cantava il compianto Gaber:
“Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta.”
“Il conformista s’allena a scivolare nel mare della maggioranza.”

Cos’hanno in comune le società umane? L’essere sorrette da regole. Non importa quali, basta ci siano. Senza regole non può esservi società, data la naturale tendenza di ogni uomo ad agire secondo personali impulsi e ragioni.
Ma è innegabile che nell’essere umano vi sia anche un’altra tendenza, quella verso il conformismo sociale; conformismo verso il sistema di regole.
Ungesellige Geselligkeit la definiva Kant, insocievole socievolezza. L’uomo che vuole essere libero ma che al contempo non è in grado di vivere senza padrone e recinti.
Un antagonismo necessario che crea una sorta di equilibrio più o meno stabile. Se uno dei due orientamenti dovesse prevalere potremmo avere il crollo anarchico della civiltà, oppure una società che accetta passivamente tutto ciò che l’autorità sceglie e decide.

In Marcello la tendenza al conformismo è nettamente marcata rispetto agli altri, tanto forte da arrivare a negare quasi totalmente se stesso.
Molte inquadrature lo ritraggono in prossimità di superfici riflettenti (specchi, finestre) mostrando la scissione tra “ciò che è” e “ciò che vorrebbe essere”; ma c’è uno squilibrio, poiché l’immagine riflessa che rappresenta il suo vero io è pallida e sbiadita in confronto alla sua controparte fisica che rappresenta il lato camaleontico, la parte da recitare.

Marcello è un conformista perché si sente diverso da tutti. Vorrebbe corazzarsi di una rispettabilità sociale tale da evitare che venga posto alcun dubbio sul suo conto.
All’età di 13 anni ha subito una molestia sessuale da parte di un autista meridionale di nome Pasqualino Semirara. L’essere stato vittima di tale violenza, l’avere provato attrazione nei confronti di un altro uomo, ma (soprattutto) essersi macchiato dell’omicidio di questo, lo portano a sentirsi diverso in una società che condanna violenza, promiscuità e sodomia sebbene siano largamente diffusi e praticati, special modo da chi condanna.

Conformarsi, dunque. Ma in quel periodo significava aderire al regime.
Suo padre, rinchiuso in un ospedale psichiatrico (un grande foro dalla reminiscenza architettonica fascista) poiché affetto da pazzia sifilitica, è stato uno dei primi ad entrare nelle fila del partito. Ha picchiato, torturato, persino ucciso. Qui si origina lo scontro edipico; l’irato Marcello rinfaccia al padre di essere un fascista, addossandogli la colpa di aver contribuito a creare quel regime mostruoso al quale ora si vedeva costretto a conformarsi.

“Se lo Stato non si modella sull’immagine dell’individuo, come potrà l’individuo modellarsi sull’immagine dello Stato?” Sono le parole pronunciate dal padre. La verità scambiata per vaneggiamenti all’interno di una società malata. Più che dalla sifilide, la pazzia dell’uomo pare derivare da un improvvisa presa di coscienza, dal guizzo della verità, che ha posto in luce la realtà di un esistenza basata su principi morali ciechi e biechi. Un fascista di ferro che improvvisamente comprende di aver lottato per la parte sbagliata. Altro che sifilide.

Il Conformista contiene forti critiche al fascismo. Le due sequenze, rispettivamente quella nel Ministero a Roma e nel bordello di Ventimiglia, sono surreali, come se Bertolucci volesse indicarci la sua incapacità di comprendere e mettere in scena qualcosa di così folle e fuori dal tempo come il fascismo.

Il più caro amico, forse l’unico, di Marcello è Italo Montanari, un non vedente che diffonde via radio proclami propagandistici del regime. La cecità di Italo permette a Clerici di sentirsi al sicuro, protetto in quanto inosservato. Al contempo Marcello è l’amico perfetto, poiché non volendo osservare ciò che lo circonda adatta il proprio sguardo a ciò che Italo vuol vedere.
La scena della festa è una metafora grottesca della cecità culturale e ideologica della borghesia fascista. “Io non sbaglio mai” dirà Italo mentre la camera indugia sulle sue scarpe spaiate.
Una borghesia ipovedente che, come gli schiavi nella caverna di Platone, percepisce solo l’ombra delle cose. Ombra proiettata proprio dai conformisti (come nella scena nello studio) che sebbene non credessero in determinati valori e morale hanno finto di farli propri, per paura o per interesse, distorcendo la realtà e inducendo i sostenitori fascisti a ritenere che la loro visione del mondo fosse giusta e funzionasse.
Il fascismo è nato e cresciuto grazie ad insicurezze individuali.

Marcello proviene da una famiglia aristocratica (un’aristocrazia narcotizzata e decadente perfettamente impersonificata dalla madre) dalla quale vuole staccarsi per immergersi nella melma della piccola borghesia, completamente denigrata attraverso il personaggio di Giulia, una giovane stupida e falso moralista.
Il gioco inestricabile di luci striate, accentuato dai vestiti e dall’arredamento, che colpisce la donna la prima volta che appare in scena proietta su schermo l’inquietudine e l’incertezza emotiva di Marcello nei suoi confronti. La scelta del matrimonio, come ribadito nella satirica e tagliente confessione, è dettata dall’insostenibile necessità di essere come gli altri.
“Ma che t’aspetti dal matrimonio?” chiede Italo.
“Vedi, l’impressione della normalità.”

Dopo il matrimonio, il viaggio di nozze a Parigi. Un viaggio in treno dove si sottolinea l’esistenza di due livelli: uno reale all’interno del treno e l’altro fantastico all’esterno, oltre il finestrino, dove su uno schermo scorrono in pochi istanti le immagini di un alba e di un tramonto intervallate da alcune dissolvenze. Il regista sembra metterci la cosidetta pulce nell’orecchio; forse non tutto ciò che vediamo è reale.

Giunti a Parigi, Clerici si mette subito in contatto con il Professore.
Il numero telefonico e l’indirizzo di Quadri (17, rue St. Jacques, tel. MED 15.37) erano in realtà quelli di Jean-Luc Godard. Sebbene il tutto fosse un omaggio da parte di Bertolucci ad uno dei suoi cineasti preferiti, questi si interrogo sul significato di quell’omaggio inserito in tal modo.
“Il Conformista è la storia di me e Godard. Quando diedi al professor Quadri il numero di telefono di Godard e il suo indirizzo lo feci per scherzo, ma più tardi mi dissi: «Beh, forse tutto questo ha un significato. Io sono Marcello e faccio film fascisti e voglio uccidere Godard che è un rivoluzionario, che fa film rivoluzionari e che fu il mio maestro.»”

Recatosi all’appuntamento, Marcello conosce Anna, la moglie di Quadri. Per la prima volta si confronta con qualcuno simile a lui; così come Marcello aderisce al fascismo, Anna si conforma all’ideologia dominante in Francia, l’antifascismo.
Un incontro che innesca una passione travolgente che non trova mai possibilità d’espressione. Le loro anime sono in sintonia ma i ruoli sociali che hanno scelto di interpretare lottano contrapposti; emblematica la scena al ristorante cinese dove Anna dapprima aggredisce verbalmente Marcello per poi fare piedino sotto il tavolo.

Due individui in balia di eventi sui quali non possono esercitare alcun controllo, come se tutto fosse già scritto, come se una volta finiti al centro della pista da ballo fosse impossibile uscirne.

La magniloquente fotografia di Vincenzo Storaro trova una delle sue massime vette nella scena nell’ufficio di Quadri, dove risiede la chiave di lettura dell’intero film.
I protagonisti sono tutti schiavi nella caverna, barricati oltre un personale muro ad osservare i riflessi delle cose sul fondo della parete rocciosa. Chi perché reticente (Marcello e Anna) e chi poiché incapace (Giulia per ignoranza e Quadri troppo chiuso in una visione borghese) di vedere la verità.
Nessuno sembra avere la minima idea di cosa stia accadendo; un mondo di marionette senza alcun burattinaio.

Dopo la sequenza nella balera di Joinville, nella quale Bertolucci mette in scena un ballo sensualissimo tra Anna e Giulia, intreccio e fabula si ricongiungono. Marcello è a bordo di un auto guidata da Manganiello che insegue il professor Quadri e sua moglie.
Durante il viaggio Marcello dirà “Ho appena fatto uno strano sogno. Ero cieco e voi mi portavate in Svizzera in una clinica per farmi operare… Ed era il professor quadri che mi operava. L’intervento riusciva. Riacquistavo la vista e partivo con la moglie del professore.”
Marcello ha, durante il sogno, messo in atto un processo di condensazione, è divenuto oniricamente una commistione di tutte le persone attorno a lui (la cecità di Italo, il ricovero in clinica come il padre, diventava l’amante di Anna al posto di Quadri).
Raggiunta l’automobile di Quadri scatta la trappola, in una scena che richiama il finale di Tirate Sul Pianista di François Truffault.
Il fascismo non ha mai ottenuto grande consenso. Ha semplicemente ucciso l’enorme dissenso.

Marcello resta immobile, quasi impassibile. L’impressione è che sia un animale spaventato che brama di ritornare nella propria tana; quello non è certamente un posto nel quale avrebbe dovuto e voluto trovarsi.
Lui e Anna si scambiano un ultimo sguardo attraverso il finestrino dell’auto, come fossero uno il riflesso dell’altro

25 luglio 1943. Il regime crolla.
Durante una passeggiata con l’amico Italo, Marcello incontra nuovamente Lino, l’autista che anni prima aveva abusato di lui. Quell’omicidio che lo aveva segnato e tormentato per anni, la fonte (forse) di quel camaleontico comportamento, non è mai stato commesso.
Clerici aggredisce l’uomo accusandolo di essere un pederasta e incolpandolo della morte del professor Quadri e di sua moglie; gli addossa la colpa di quegli atti che ha dovuto compiere per ripulirsi socialmente la coscienza da un qualcosa che in realtà non è mai avvenuto.
“Voglio che il perdono me lo dia la società. Mi confesso oggi per la colpa che commetterò domani. E’ il sangue che lava il sangue. E’ il prezzo che mi chiede la società.”

Fino a che punto possiamo essere certi che l’uomo sia davvero lo stesso che aveva abusato di lui? Se fosse una proiezione frutto di un meccanismo inconscio, quello che lo rende un conformista, che nell’istante in cui comprende la realtà dei fatti cerca di liberarlo dall’identità e dal trascorso fascista, facendoli apparire come il frutto di un inganno?
In fondo Marcello vede per due volte e su due donne diverse il volto di Anna Quadri. “Ho incontrato una donna che ha i vostri occhi. Una somiglianza davvero impressionante.”
Chi può dire se l’agente Manganiello fosse davvero con lui a Parigi? Perché nessuno, né al ristorante né alla baliera, sembra notarlo? Se fosse l’estrema mossa del conformista per cambiare pelle?

La storia si concluderà quando, una volta abbandonato l’amico Italo, Marcello siederà sugli scalini di una casa all’interno della quale un ragazzo nudo (lo stesso che Lino cercava di adescare) aziona un giradischi. Marcello, con il volto rischiarato dalla luce di un fuocherello, osserva attraverso delle sbarre (simbolo delle prigioni autoimposte), il corpo del giovane dal quale sembra essere attratto.
Siamo ciò che siamo e non possiamo sfuggire a noi stessi. Errori e debolezze del passato riusciranno sempre a trovarci, non conta quanto intricato è il labirinto nel quale corriamo a nasconderci.

Titolo originale: Il Conformista
Anno: 1970
Durata: 112′ min

Regia: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci

Interpreti:
Jean-Louis Trintignant (Marcello Clerici)
Stefania Sandrelli (Giulia)
Dominique Sanda (Anna Quadri)
Gastone Moschin (Manganiello)
Pierre Clémenti (Pasqualino Semirama)
Enzo Tarascio (Luca Quadri)
Josè Quaglio (Italo Montanari)

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